Domon Ken, la fotografia realista del maestro giapponese a Roma

la Fotografia realista: un’istantanea assolutamente non drammatica

Il realismo fotografico in Giappone ha un maestro indiscusso, un uomo che ha dedicato l’intera vita alla fotografia e alla sua evoluzione sociale. Il maestro in questione è Domon Ken e oggi fino al prossimo 18 settembre, il frutto dei suoi reportage, del suo amore incondizionato per la macchina fotografica e i soggetti in essa ritratti, sono celebrati a Roma, al Museo dell’Ara Pacis.

Una mostra importante destinata a restare viva negli annali, perché è la prima volta che le opere di Domon Ken varcano i confini del Giappone per sbarcare oltreoceano e far conoscere l’evoluzione di un grande artista, dal periodo in cui le sue foto ritraevano istantanee di propaganda militare, al percorso che lo portò al fotogiornalismo di stampo sociale. Maestro assoluto della fotografia giapponese e pioniere della corrente realista, sosteneva che il perno della fotografia fosse “la connessione diretta tra la macchina fotografica e il soggetto”. E portava questa sua convinzione ovunque nei suoi lavori. Persino giungendo nella Hiroshima del post bomba atomica. Qui piangeva mentre fotografava la tragedia umana provocata dalla guerra. Ma fotografare era necessario, era un dovere umanitario. Quelle foto erano doverose, e sono servite a confermare, smontare e smascherare il castello di carta, creato dalla propaganda imperiale e militare giapponese.

Domon ken era sempre alla ricerca di una immagine del tutto realistica, priva di drammaticità, con lo sguardo sempre rivolto alla società in generale e alla vita quotidiana:

Sono immerso nella realtà sociale di oggi ma allo stesso tempo vivo le tradizioni e la cultura classica di Nara e Kyoto; il duplice coinvolgimento ha come denominatore comune la ricerca del punto in cui le due realtà sono legate ai destini della gente, la rabbia, la tristezza, la gioia del popolo giapponese.

All’Ara Pacis in mostra ci sono 150 fotografie, poche se considerate le oltre 70 mila conservate al Museo personale a lui dedicato a Sakata, sua città natale – Il Ken Domon Museum of Photography. Un retrospettiva suddivisa in più sezioni, che seguono il filo di crescita umana e professionale del Maestro, che raccontano tutta la sua produzione, dall’esordio con una fotografia di tipo giornalistico e a servizio della propaganda anteguerra e della promozione culturale del Paese verso l’estero (Fotogiornalismo e propaganda anteguerra), a una fotografia rivolta alla registrazione della vita quotidiana e alla città che si trasforma e si occidentalizza, con un’attenzione sempre più forte ai temi sociali. Fino alle due opere chiave che documentano, appunto, la tragedia di Hiroshima e la miseria dei Bambini di Chikuho.

Il cuore della mostra: Tragedia di Hiroshima e povertà di Chikhuo

Una sezione tematica della retrospettiva catapulta il visitatore negli anni del realismo sociale, di cui Domon Ken fu fervido portavoce: Verso il realismo sociale, dai villaggi di minatori ai sopravvissuti di Hiroshima”. Questo il titolo. Fotografare per Domon, iscritto al partito comunista, significava affrontare in modo diretto e franco le ferite, le cicatrici di una società giapponese sgretolata e colpita al cuore. Così lavorava registrando e testimoniando gli avvenimenti sociali, senza drammaticità. In questa cornice di realtà si inseriscono i suoi due capolavori, l’apice della produzione fotografica del maestro: Le due pubblicazioni I bambini di Chikuhō (Chikuhō no kodomotachi) e Hiroshima.

Hiroshima

Quante volte scattai con le lacrime che mi riempivano gli occhi!

Bende, cicatrici, ferite ancora aperte. Tredici anni dopo quel tragico 6 agosto 1945, in cui la bomba atomica squarciò Hiroshima e poi Nagasaki, Domon Ken si recò sul luogo. Inizialmente per raccogliere materiale, ma giunto sul posto rimase atterrito da ciò che trovò, dalle ferite, da una sofferenza ancora viva negli occhi e nei corpi dei sopravvissuti. Così Domon con la sua 35 mm rivelò i luoghi e le persone colpite dalla bomba: osservò e registrò freddamente e orribilmente – perché tale era la realtà – i danni materiali e fisici, le cicatrici profonde, le operazioni di chirurgia plastica e i trapianti subiti dalle vittime della bomba, dedicando proprio ai progressi nel campo della chirurgia plastica le quattordici pagine di apertura del volume, che divennero un vero e proprio dossier fotografico, pubblicato nel marzo del 1958. Fu un punto di svolta per l’arte del dopoguerra, perché si entrò nel vivo della realtà di quegli anni, mettendo a fuoco l’irrazionalità del genere umano e il dramma coraggioso e commovente delle vittime, mostrando i vivi anziché i morti.

I Bambini di Chikuhō

Soggetto molto amato da Domon Ken, i bambini avevano largo spazio nelle sue opere fotografiche. La cosa era forse dovuta alla morte della sua secondogenita, annegata in un canale. Li fotografò agli inizi della sua carriera, alle feste, quelli dediti alla pesca nella penisola di Izu, quelli che animavano le strade dei quartieri bassi di Ginza, Tokyo, Osaka, Koto. Ma accanto al piacere di rivelare la fanciullezza si fece strada un forte sentimento di impegno sociale, che segnò il passaggio alla fotografia realista di stampo socialista. Con questo spirito denunciò le condizioni dei bambini nei poveri villaggi minerari di Chikuhō nell’isola di Kyūshū, abbandonati a se stessi, orfani di genitori e di una politica nazionale che aveva creato un catastrofico stato di disoccupazione, dovuto alla chiusura delle miniere in favore della riconversione petrolifera. La povertà mangiava i volti e il cuore di questi bambini che il maestro scelse di fotografare, in segno di forte denuncia pur senza mai affrontare il tema politico. Frutto di questa denuncia fu appunto la pubblicazione nel 1960 de “I bambini di Chikuhō” a cui seguì un’altra pubblicazione – “Il padre della piccola Rumie è morto” – che ritraeva con immagini dirette e fervide le giornate di due sorelline di 11 e 7 anni – Rumie e Sayuri – nelle baracche del villaggio di Akashi a Chikuhō.

Tra le altre sezioni:

L’anteguerra: dal fotogiornalismo alla fotografia di propaganda

Cominciando dall’esordio fotografico di Domon Ken a 24 anni presso lo studio fotografico di Miyauchi Kōtarō e dalla sua esperienza come fotografo di propaganda anteguerra e della promozione culturale del paese verso l’estero. Fotografò e pubblicò su riviste e giornali d’epoca, riportando le tradizione, l’artigianato, l’avanzamento industriale e il lato progressista del Giappone anni ’30, tutto in chiave nazionalistica. Il fotogiornalismo divenne mezzo di propaganda e pubblicitario. E i fotografi esecutori di questo schema comunicativo.

Gli anni della guerra e il Teatro dei Burattini Bunraku

Sono gli anni di massima espansione dell’impero giapponese, quelli che portarono dritti al Secondo Conflitto Mondiale e a cui i fotografi dovettero indiscutibilmente adeguarsi. Le regole della fotografia divennero le regole della politica militare, al servizio del Ministero degli esteri e di quello per il Turismo, intenti a veicolare la grandezza e la potenza dell’impero giapponese. E furono anni difficili per Domon Ken, che lamentava l’impossibilità di mantenere una famiglia di sette persone, proprio a causa delle ristrettezze provocate dalla guerra e la paura di essere chiamato al fronte come membro del gruppo di ‘fotogiornalisti dell’impero’. Scelse così la soluzione della resa, della ritirata dalla scena dei fotoreporter per dedicarsi alla cultura e alla classicità. Si interessò dei templi buddhisti e dei burattini Bunraku. Tutto per continuare a fotografare liberamente. Nel 1939 iniziò a recarsi al tempio Murōji dando avvio alla grande opera Kojijunrei, che lo avrebbe condotto lungo i templi antichi del Giappone per tutta la vita. E in tema di burattini, non fu cosa facile per lui addentrarsi in questo mondo e ricevere l’attenzione degli addetti ai lavori, perché era universo nuovo e ancora inesplorato, si limitò perciò a fotografare burattini solo dietro le quinte.

Il dopoguerra, l’affermazione del realismo in fotografia

Eccoli finalmente gli anni della consapevolezza dell’inganno che l’impero giapponese rivelò. La bomba atomica distrusse, insieme a milioni di vite umane, un Paese intero e il mito imperiale costruito ad arte fino ad allora. E se da una parte sul finire degli anni 40 si giunse a una rinascita intellettuale e culturale figlia di questa consapevolezza, si cercava un modo istantaneo, chiaro e franco per parlare e descrivere la società. Chi meglio del Maestro Domon Ken poteva accorrere in aiuto. La popolazione necessitava crudamente e prettamente di beni materiali essenziali quali cibo e medicine, casa e trasporti, per cui si fece strada una sorta di sentimento sociale e agli slogan brutali della propaganda, si cercò di sostituire un linguaggio che riuscisse a descrivere obiettivamente la mutata realtà. Così si introdusse la pellicola 35 mm, la fotografia divenne a colori e questo permetteva di osservare e descrivere fin nei minimi particolari ciò che accadeva. E Domon ken divenne presto portavoce e leader della tendenza realista a mostrare attraverso la fotografia, i cambiamenti della società.

Ritratti di un’epoca: Fuoō

A partire dalla prima fotografia scattata nel maggio 1936 che ritraeva lo scrittore Takeda Rintarō e proseguendo durante la guerra fino all’anno della pubblicazione, Domon raccolse in un unico volume 83 ritratti di amici, conoscenti, personaggi pubblici del mondo dello spettacolo, della letteratura, del teatro, della politica. Attraverso i volti noti e meno noti dei personaggi ritratti, Domon rivelava il volto del Giappone di un’epoca: i grandi letterati come Mishima, Kawabata o Tanizaki, attori e registi come Mifune e Ozu, i grandi amici artisti che diedero avvio alla nuova epoc,a quali lo scultore Noguchi, il graphic designer Kamekura, l’iniziatore della scuola ikebana Sōgetsu Teshigahara, ma anche pittori come Fujita, Umehara, Okamoto. Ogni foto è accompagnata dal nome, dalla professione e dalla data dello scatto, oltre a raccontare, in forma di brevi testi, il rapporto che legava Domon alla persona ritratta e il clima che si era creato durante il servizio fotografico.

Pellegrinaggio ai templi antichi (Kojijunrei)
Il Murōji

La prima tappa di quello che diventò il “pellegrinaggio ai templi antichi” fu un piccolo tempio immerso nel verde delle montagne di Nara: Il Murōji. Da qui Domon iniziò la documentazione nel 1940 focalizzandosi prima sugli edifici, sulla pagoda a cinque piani – la più piccola del Giappone – e poi sui particolari dell’architettura e delle sculture presenti in essa, senza tralasciare l’imponente sagoma del Buddha Miroku dell’Ōnodera scavato sulla parete rocciosa affacciata sul fiume lungo la strada che conduce al Murōji. In una seconda fase, si concentrò sulle statue lignee (kōninbutsu) di epoca Heian (794-1185) alloggiate all’interno del tempio e, partendo da inquadrature ampie e complessive, arrivò a cogliere i più minuti particolari enfatizzando la materia e le venature del legno: le pieghe e i lembi delle vesti, la gestualità delle mani, gli sguardi.

La mostra Domon Ken, promossa dalla Sovrintendenza capitolina ai beni culturali, Bunkacho, Japan Foundation, organizzata da Mondo Mostre Skira a Zètema, in collaborazione con il ken Domon Museum of Photography, è arrivata a Roma in occasione della celebrazione del 150° anniversario delle relazioni tra Giappone e Italia. Si inserisce in una serie dì eventi che animeranno il mondo artistico e culturale italiano per tutto il 2016.

 

Info utili:
Luogo: Museo dell’Ara Pacis
Orario: Dal 27 maggio al 18 settembre 2016
Tutti i giorni 9.30-19.30 – La biglietteria chiude un’ora prima

Biglietto d’ingresso: Nella prima domenica di ogni mese, ingresso gratuito alla mostra per i residenti a Roma e nell’area della Città Metropolitana.
Biglietto unico integrato Museo Ara Pacis + mostra “Domon Ken. Il maestro del realismo giapponese, 27.5-18.9.16”:
– Intero € 13,00
– Ridotto € 11,00
Per i cittadini residenti nel territorio di Roma Capitale (mediante esibizione di valido documento che attesti la residenza):
– Intero residenti € 11,00
– Ridotto residenti € 9,00
Videoguida Museo
In italiano, inglese, francese, tedesco, spagnolo: € 6,00
Informazioni
060608 tutti i giorni dalle 9.00 alle 21.00

 

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