I luoghi d’Italia raccontati da Oscar Wilde

Ho scritto quando non conoscevo la vita. Ora che so il senso della vita, non ho più niente da scrivere. La vita non può essere scritta: la vita può essere soltanto vissuta. (Oscar Wilde in risposta alla domanda di Anna de Brémont)

Una vita di eccessi, di ambizione, spudorata e affannosa, percorsa sul sottile filo dell’estetismo portato all’estremo e, soprattutto incentrata sull’esperienza massima che arricchisce il bagaglio umano di chiunque al mondo – il Viaggio. Su questo e molto altro è incentrata “Oscar Wilde. Lettere”, l’immensa raccolta di epistole che, in più di mille e duecento pagine, riassumono i 46 anni di vita dello sregolato poeta e letterato irlandese. Da Roma a Firenze, da Napoli a Venezia, Da Palermo a Genova, eccola lì, bella come sempre e immortale, vissuta in lungo e in largo, e quasi sempre a tasche vuote, l’Italia di fine ‘800 raccontata da Wilde.

Così scrive al padre mentre si ritrova, nell’estate del 1875, davanti alla meravigliosa Basilica di San Lorenzo a Firenze e rimane folgorato dalla costruzione “alla classica maniera fiorentina”, dalla “lunga navata sostenuta da colonne greche” e dalle due Cappelle Medicee. “La prima, la cappella funeraria è magnifica, altissima e ottagonale”. E poi la Biblioteca e il Museo Etrusco che definisce “Interessantissimo” al punto da descriverne minuziosamente i reperti, gli oggetti, le monete ammirate. Racconta poi nella lettera al padre della sua cena in un ristorante a San Miniato, dell’aria fresca a chiara della sera e il rientro passando davanti a Palazzo Pitti. Chissà, magari leggendo chiunque di noi si sarà riconosciuto in questo tipico giro turistico fiorentino!

Una Firenze che lo scrittore lascia “con molto rimpianto” (come scrive alla madre Lady Wilde) giorni dopo per ripartire, attraversando in treno gli Appennini, con “il loro bellissimo scenario alpestre”, e poi “foreste, pini, dirupi, la vallata”. Una lettera in cui Wilde descrive quello che molti di noi – pendolari studenti, lavoratori o girovaghi – fanno spesso, la classica tratta in treno Firenze-Bologna. Passato l’Appennino Wilde si ferma proprio nella Rossa Bologna a cena, per ripartire all’indomani alla volta di Venezia.

Venezia, che Wilde definisce “città appena sorta dal mare. Una lunga sfilata di chiese e palazzi addossati gli uni agli altri, dappertutto cupole bianche o dorate, e alti campanili. Nessuno spazio aperto in tutta la città se non in piazza San Marco”. Venezia con la sua laguna, il Canal Grande, i gondolieri che caricano il bagaglio di Wilde e lo accompagnano in albergo su quella che lui definisce curiosamente “barca nera simile a un carro funebre” – la gondola. I canali, i ponti, Rialto e Piazza San Marco con la sua “sfarzosissima splendida chiesa bizantina, tutta ricoperta d’oro e di mosaici”. E poi la Pinacoteca con le opere di Tiziano. “Una città al di la di qualunque descrizione. E il punto d’incontro dell’arte bizantina e italiana – una città che appartiene in ugual misura all’Oriente e all’Occidente”. Insomma la tipica esperienza lagunare che migliaia di turisti vivono ogni anno, con un tocco in più di genio e poesia.

Che dire poi del suo incontro con la Pinacoteca di Brera, una volta giunto a Milano, dove rimane estasiato dalla Madonna di Bernardino Luini e dai Correggio e Perugino. Milano, che per il grande poeta nato nella verde Irlanda, è “una seconda Parigi”, con i portici, le gallerie, il pranzo da Biffi e la degustazione del vino di Asti. E poi da Milano ad Arona, sul Lago Maggiore, dove il poeta, senza soldi, si rifugia dopo aver lasciato i suoi compagni di viaggio, che proseguivano verso Genova. Nel capoluogo ligure Wilde non ci andò quella volta ma più avanti (dove tra l’altro è sepolta la moglie Constance Lloyd). Curioso invece sentire ciò che dice del famoso Duomo di Milano: “Esterno molto elaborato, con pinnacoli e statue orrendamente sproporzionati rispetto al resto dell’edificio. Interno massimamente suggestivo, per l’enormità degli spazi e le gigantesche colonne che sostengono il tetto. Il Duomo è un vero disastro. L’esterno è spaventoso e privo di ogni arte. Dettagli fin troppo elaborati sono così in alto che nessuno può vederli. Non una sola cosa bella. Eppure imponente e gigantesco nel suo fallimento, per la sua enormità e la complessità della sua esecuzione”.

Non poteva mancare ovviamente Roma tra i viaggi italiani del poeta. È all’amico Reginald Harding che racconta della sua brama e del suo programma di partire per “la città eterna” e di vedere la cupola dorata di San Pietro, in una lettera del marzo 1877. Non ci andrà subito, anzi approfitterà per approdare nella città signora del mare, Genova, spingendosi in giù verso Ravenna e poi Brindisi, in direzione Grecia.

Parla di Genova come di “una città di palazzi di marmo sul mare” e di Ravenna come città di “grande interesse per le sue antiche chiese cristiane e i gli splendidi mosaici del IV secolo”. Gli stessi identici motivi che spingerebbero un turista qualsiasi a recarsi nella piccola cittadina romagnola oggi.

Diverse lettere Wilde scrive anche da Napoli, dove arriva nel settembre 1897, sulla collina di Posillipo, alloggiando a Villa Giudice insieme al suo eterno amante Alfred Douglas (Bosie) e trascorrendovi, tra ristrettezze economiche dovute ai suoi famosi sperperi di denaro, l’inverno.

Scrivendo a Robert Ross dall’albergo Cook&Son di Piazza di Spagna a Roma, il poeta parla di Palermo, “splendida” con i suoi limoneti e aranceti, adagiata “nella valle che si estende tra i due mari”. Gli occhi di Wilde sono meravigliati dalla Cappella Palatina (la basilica che si trova nel Palazzo dei Normanni) che “dai pavimenti ai soffitti a volta è tutta d’oro”, dove “ci si sente come si fosse seduti nel cuore di un enorme nido guardando gli angeli cantare” e ancora più estasiato dai mosaici bizantini, superiori secondo lo scrittore persino a quelli di Ravenna e dal bellissimo Duomo di Monreale.

A Roma Wilde arriva il giovedì santo del 1900, incontrando e ricevendo la benedizione del papa il giorno di Pasqua. Trascorre il resto del tempo ammirando il Velàzquez del Papa Pamphilij, il Museo nazionale, l’amata Villa Borghese, Albano, Tivoli (nei dintorni di Roma). E poi Piazza di Spagna, Fontana di Trevi che con la sua acqua rumorosa e ruggente affascinava anche lui, proprio come affascina i turisti di oggi che vi si avvicinano, passeggiando lungo via della Dataria. Certo non poteva mancare, il grande Wilde, di una visita ai Musei Vaticani. Insomma una città che lo ha totalmente assorbito, “una città dell’anima” come lui stesso la definisce scrivendo a Robert Ross.

Un autore che alle lettere ha affidato gli avvenimenti della sua tormentata vita, dalla formazione universitaria, ai viaggi, ai rapporti con gli editori, agli amici cari. E missive agli amanti, all’amata madre, poetessa ribelle irredentista irlandese. Il turbinio scandali in seguito all’uscita de “Il Ritratto di Dorian Gray“. Lettere in cui progressivamente si delinea la sua visione estetica del mondo. Un concetto di bellezza salvifica portato all’ennesima potenza a cui Wilde rimane fedele, anche e soprattutto nel suo tenore di vita fatto di eccessi e sperperi e di ambizione sfrenata. E poi le epistole del periodo infelice di prigionia, dovuto all’accusa di “gross indecency”, ovvero di omosessualità, punita col carcere. Tutto ciò è presente in questa inedita raccolta, edita da Il Saggiatore, che con questa scelta ha permesso al lettore di addentrarsi nella vita e nelle opere del grande autore irlandese. Un Oscar Wilde inedito, che per l’occasione diventa eccellente guida alle meraviglie del paesaggio, della storia e della cultura italiani.

 

Scheda e info:

Titolo: Oscar Wilde. Lettere
A cura di: Silvia De Laude e Luca Scarlini

Editore: Il Saggiatore, Milano 2014
Pagine: 1276
Prezzo: euro 65,00

 

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