Tra Graffitismo, Pop Art e primitivismo, Basquiat in mostra al Mudec di Milano

 

Cancello le parole, in modo che le si possano notare – il fatto che siano oscure spinge a volerle leggere ancora di più – J.M. Basquiat

Anima fragile, come fragile è la condizione umana. Genio annaspante in una società che lo acclamava a piena voce come artista, ma lo rifiutava per il colore della sua pelle. Contraddizioni anni ’80, che nelle opere di Jean-Michel Basquiat, in mostra al Mudec di Milano fino la prossimo 26 febbraio, balzano come un pugno in pieno viso.

A partire dalla sua prima vera opera d’arte: la strada. I muri di New York portano i segni violenti o pungenti della sue spruzzate graffitiste, quelle che lo hanno reso celebre con lo pseudonimo di SAMO (Same Old Shit). E proprio le strade di Soho e del Lower East Side fanno nascere il mito, che consegna a Basquiat la medaglia di uno dei più grandi artisti del secondo Novecento.

Graffiti che segnano l’inizio del linguaggio pittorico di Basquiat, dove l’apparente semplicità nasconde un trattamento molto sofisticato delle superfici, dove l’iconografia e i forti messaggi trovano terreno fertile. Come nelle celebri ‘Untitled’ e ‘The Field Next to the Other Road’. Un segno grafico quasi primitivo, che nasconde grande consocenza della tecnica e forti messaggi etici.

Chissà su quale gradino, nella scala della popolarità artistica, si sarebbe seduto il pupillo di Andy Warhol, se non fosse morto a 27 anni per overdose, lasciando al mondo ‘poche’ opere, molte in mano a collezionisti privati.

Lo sforzo di questa mostra milanese ne ha chiamate all’appello circa 140, in larga parte dalla collezione di Yosef Mugrabi, realizzate dall’enfant prodige tra il 1980 e il 1987: opere di grandi dimensioni, disegni, foto, collaborazioni con Warhol, piatti in ceramica che ritraggono ironicamente artisti di ogni epoca. Lavori dal tratto grafico inconfondibile, pieno di rabbia, tutti realizzati con materiali poveri, proprio come ai tempi in cui oltre che sui muri, dipingeva su scarti di finestre e porte trovati per strada. Questo il suo primo vero patrimonio artistico.

La musica
Il Jazz
I fumetti
L’anatomia
La poesia
La scrittura

Sono i temi ricorrenti nei suoi lavori e in questa mostra, il fil rouge che guida il pubblico attraverso differenze razziali, emarginazione e diffidenza verso il diverso. Temi attuali, oggi come allora. Esposizione che i curatori Jeffrey Deitch e Gianni Mercurio, hanno allestito seguendo la chiave di lettura geografica, sulle tracce dei luoghi che hanno segnato il percorso artistico di Basquiat e cronologica, lungo il tracciato dei proficui anni ’80-’87.

Quella di Jean‐Michel Basquiat è una pittura drammatica, alimentata dall’orgoglio del proprio essere nero, dall’affermazione e dalla difesa dei valori etici e morali che si possono riscontrare nella cultura degli afroamericani. Il suo primitivismo è frutto di una presa di coscienza politica. Basquiat tenta una riappropriazione di un’espressività tribale, cioè di un’arte prodotta da africani per gli africani, nel quadro di un sistema culturale ricco di precisi valori formali. La sua è dunque un’arte strettamente integrata e connessa con altre espressioni della società contemporanea, quali la musica, la danza, il teatro, ma anche l’agonismo sportivo e politico”, commenta Gianni Mercurio.

Una mostra, promossa dal Comune di Milano‐Cultura e da 24 ORE Cultura, che ripercorre l’intensità della fuggente vita di Basquiat attraverso sei sezioni:

I primi anni del graffitismo (’80-81), quelli dello Studio in strada, quando spruzza in notturna i muri newyorkesi con lo pseudonimo SAMO e dipinge sui materiali di scarto tutta la cacofonia della Grande mela. Dalle sirene d’ambulanza alle insegne, dagli incidenti d’auto all’alternanza di parole astratte e immagini. E poi il 1981, l’anno in cui Emilio Mazzoli organizza la sua prima esposizione in Italia, a Modena. L’ultimo atto che vede Basquiat esprimersi come SAMO. C’è poi la sezione che riprende i lavori sviluppati nello Studio di Prince Street (1981-’82) a Soho, nel seminterrato della Galleria di Annina Nosei. Luogo in cui si esprime con opere eccezionali, padrone di tecnica e conoscenza della storia dell’arte. Costantemente disturbato da orde di collezionisti entusiasti, che gli chiedono di comprare i suoi quadri prima ancora che egli abbia il tempo di completarli. Benvenuto nel mondo degli affari Jean-Michel!

Nello Studio di Crosby Street (1982-’83) Basquiat trova un ambiente più intimo senza visite improvvisate e distrazioni. Qui lavora intensamente con tv accesa e rigorosamente sintonizzata sui cartoni animati. I movimenti delle figure lo ispirano e gli regalano anni proficui.

Infine le ultime due sezioni raccontano al pubblico gli anni di lavoro nel suo terzo studio, quello di Great Jones, l’antica rimessa per carrozze affittatagli da Anday Warhol e Collaboration Painting, il periodo dell’84-’85, quando Bruno Bischofberger, gallerista di Basquiat, gli propone di collaborare con Francesco Clemente e Warhol. Ne vengono fuori 15 quadri a tre e un collaborazione postuma Basquiat-Warhol che porta i due artisti a contaminarsi a vicenda, spingendo Warhol al ritorno alla pittura e Basquiat alla sperimentazione delle serigrafie. Un tripudio cangiante di genialità che regala al mondo uno dei racconti più belli nella storia dell’arte moderna e contemporanea.

Un ragazzo pieno di talento, perso nelle proprie fragilità, colmo di rabbia e deciso nell’imporre alle proprie opere la responsabilità di portare tutte le sue gioie, le insicurezze, i forti temi di denuncia, in una società intrisa di contraddizioni e in preda a tumulti, dilaniata da scontri sociali e razziali.

Genio che fa breccia nel cultura pop, di cui la Pop Art è espressione, tanto da scaldare il cuore di vere e proprie icone di questa corrente, da Madonna (con cui ha una relazione sentimentale) al duca bianco David Bowie, fino a colui che da Basquiat si lascia rapire l’anima: Andy Warhol, che scopre il giovane graffitista e lo lancia a gamba tesa nel mondo dell’arte, delle gallerie, dei collezionisti.

Un personalità unica, profonda e radicata nella cultura del suo e del nostro tempo. Un talento diventato caso mondiale. Fervida genialità, contesa tra la spontaneità che solo la strada può donare, pur nella sua durezza, e un animo profondamente colto. Una morte precoce e drammatica che gli è valsa il titolo, sicuramente riduttivo e un po’ superficiale, di ‘James Dean dell’arte moderna’.

 

Info utili:
Titolo: Jean-Michel Basquiat
Sede: MUDEC, Museo delle Culture ‐ via Tortona 56 ‐ Milano
Date: 28 ottobre 2016 – 26 febbraio 2017
Orari: Lun 14.30‐19.30 – Mar, Mer, Ven- Do 09.30‐19.30 – Gio e Sa 09.30‐22.30

Biglietti: Intero € 12,00 | Ridotto € 10,00

Info e prenotazioni: 02 54917 | www.ticket24ore.it

 

Fonte: 24 ore Cultura – Gruppo 24 Ore

 

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