L’Italia della Dolce Vita nel libro di Oriana Fallaci

 

Vi sono momenti, nella vita, in cui tacere diventa una colpa e parlare diventa un obbligo. Un dovere civile, una sfida morale, un imperativo categorico al quale non ci si può sottrarre

 

Giornalista di razza, indomita polemista, protagonista indiscussa ovunque la portasse la macchina da scrivere, anche negli Stati Uniti.
Una donna vera, libera, fatta di ragione e passione, Oriana Fallaci.

Da “Lettera a un Bambino Mai Nato” a “Un Uomo”: i suoi libri sono tutti lì a testimoniare la grandezza intellettuale di una persona che amava definirsi scrittrice prima ancora che giornalista.

Furono magistrali le corrispondenze dal Vietnam, quando scriveva per l’Europeo, fucina di grandi giornalisti.

E fu proprio l’Europeo il trampolino di lancio della giornalista.

Nel 1954 si trasferisce a Roma. E’ giovane, ha solo 25 anni e l’Europeo le offre una collaborazione in cronaca rosa. All’epoca era il settore riservato alle donne ma Oriana Fallaci rivoluziona il modo di raccontare il costume e la mondanità.

Il mondo della guerra che conosceva fin troppo bene -lei, che era stata partigiana a soli 12 anni- sembrava essere così lontano dall’atmosfera che si respira a Via Veneto che le sorge l’intuizione.

Non aveva mai avuto particolare interesse per i temi frivoli, eppure capisce la straordinaria portata politica che potevano avere le affermazioni dei grandi divi. E così Oriana li comincia a conoscere, li contatta, li intervista, li mette a nudo nei loro pregi e nei loro opinabili difetti.

Per renderle omaggio Rizzoli pubblica “L’Italia della Dolce Vita”, compendio delle interviste che la Fallaci realizza con occhio ironico, scanzonato e attento ai grandi protagonisti dello spettacolo dell’epoca, tra mondanità e decadenza. La raccolta delle interviste rimase per molti anni solamente un progetto, la loro catalogazione fu accantonata perchè la Dolce Vita volgeva oramai al suo termine e nel frattempo nascevano le istanze della rivoluzione del ’68.

Un quadro esaustivo e privo di pregiudizi che va da Sordi a Gassman, da Gina Lollobrigida a Sofia Loren, dai registi Visconti, Rossellini, Fellini, Antonioni agli scrittori e i produttori più noti.

Del resto Cinecittà e Via Veneto erano diventati il tempio dove si radunavano le star hollywoodiane, gli stilisti, i cantanti lirici, i campioni sportivi, i ballerini, i toreri, i playboy, i nobili decaduti.

Muovendosi tra Roma, New York, Parigi, Capri e Venezia, in un batter d’occhio conosce la casta del cinema, fatta sì di grandi talenti ma anche di grandi -discutibili- compensi, in un mondo ancora provato dal male della seconda grande guerra.

Anche se giovanissima Oriana non mostra alcuna reverenza, non si lascia sedurre da un mondo che la incuriosisce ma che forse così tanto non le appartiene. Si fa beffe di Alberto Sordi, descrivendo con ironia il modo in cui beve la sua granita perché l’ultima goccia non vada sprecata.

Su Vittorio Gassman parla di “tenerezza che si prova verso un fratello maggiore il quale è pieno di idee ma non ha ancora deciso cosa fare di sé”.

Nell’ultimo capitolo a “confessarsi” alla penna della Fallaci è Marcello Mastroianni che racconta i suoi le sue paure e debolezze.

Senza dubbio l’attore si fidò eccessivamente della giornalista, anche perché Oriana avrebbe pubblicato tutto, parola per parola, senza cambiare una virgola.  

“Che infamia essere poveri. Non solo perché ti innamori delle scarpe che non puoi comprare, non solo perché devi andare a letto col maglione, ma perché sei costantemente privato della dignità” -le confida- “sono un uomo che ha paura a star solo. Quando non lavoro, giro come un lupo per la città” e poi ancora “io posso amare tre donne contemporaneamente. Sono il prodotto del sistema patriarcale contro cui si rivoltano le donne moderne; non riesco a considerare il rapporto amoroso su un piano di uguaglianza. Millenni di dominio maschile m’hanno educato a sentirmi bene con le femmine sottomesse”.

Oriana Fallaci e Marcello Mastroianni non si sarebbero mai più rivolti parola.

Oriana Fallaci, L’Italia della Dolce Vita, Milano, Rizzoli, 2017, pp. 339. 

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