Roma. L’Arco di Giano, che di Giano non è!

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I romani lo conoscono bene l’Arco di Giano, quello del dio dai due volti, anziano e giovane, che proietta l’uomo tra passato e presente.
Appartiene alle leggende che nel tempo trasformano in storia le false credenze.

Lo scoop rivelato in occasione della presentazione dell’avanzamento lavori di restauro è che l’arco di Giano, di Giano non è.

L’attribuzione al dio bifronte avvenne ad opera degli antiquari della Roma rinascimentale che basandosi sulla singolarità della pianta quadrata, interpretarono i 4 ingressi orientati verso i 4 punti cardinali, come le specularità delle 2 facce di Giano. Dai Cataloghi Regionali del IV secolo d.C. si sapeva che la storia di Giano era solo una leggenda. L’arco è denominato Arcus Divi Constantini, anche se ora sappiamo che Costantino quell’arco non lo vide mai.

Il segreto era racchiusonell’epigrafe di età romana scoperta nella scala che sale verso l’attico, su cui è roportata l’iscrizione COS – abbreviazione di COSTANTINO – come spiegato da Mirella Serlorenzi, Direttore scientifico del progetto di restauro.

La grande novità scientifica è che grazie all’epigrafe si è potuto scoprire che si trattava di un arco onorario dedicato post mortem a Costantino dai figli.

Chiuso come il vicino Arco degli Argentari da una recinzione invasiva dopo la bomba mafiosa del 27 luglio 1993, da anni fuori dai circuiti turistici e culturali perchè non visitabile, sottoposto all’azione del tempo, dello smog, ma soprattutto della pioggia, l’Arco di Giano correva il rischio di rimanere una delle tante opere lasciate al degrado.

100.000 gli euro stanziati dalla Soprintendenza Speciale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Roma guidata da Francesco Prosperetti, che grazie al cofinanziamento di 250.000 dollari del World Monuments Fund e American Express sono serviti a chiudere la prima fase dell’intervento di restauro che restituisce la parte destra del prospetto ovest dell’arco ripulita e restaurata nel rispetto delle superfici.

COSA prevedeva la prima fase del progetto?

Una campagna di studi e di indagini con apparecchiature d’avanguardia, esame dello stato delle superfici di marmo, rilievi tridimensionali con il laser scanner, restauro della parte destra del prospetto ovest del monumento, documentazione fotografica e video dell’intervento.

COME proseguirà?

Al momento non ci sono dati certi sul proseguimento delle fasi di restauro.
Si è in attesa di fondi grazie ai quali arginare lo stato di degrado della superficie.

Già perché il KILLER del marmo dell’Arco di Giano è l’acqua piovana che si infiltra nelle fessure e incrementa il deterioramento chimico, fisico e biologico

UN PO’ DI STORIA

L’ARCO DI GIANO

Risalente al IV. Sec. D. C., è l’ultimo degli edifici monumentali costruiti sopra della Cloaca Massima Ogni ‘facciata’ dell’arco è scandita da due file di tre nicchie semicircolari coperte da una semicupola a conchiglia nella quale era collocata una statua. 48 in tutto erano le statue che decoravano le nicchie, delle quali non è rimasta traccia.

Mentre nelle 4 chiavi di volta erano rappresentate sedute Roma e Giunone, e in piedi Minerva e, forse, Cerere.

IL FORO BOARIO – (Informazioni tratte dalla nota stampa)

LE ORIGINI

Già prima della fondazione di Roma, la zona era un approdo naturale per gli scambi commerciali, qui confluivano le merci: il sale da Ostia, le greggi dagli Appennini, il raffinato artigianato etrusco e magno greco da Nord e da Sud.

Proprio per l’addensarsi di interessi economici, l’area svolse un ruolo fondamentale nelle origini della città, ben prima che il centro della vita politica e amministrativa si spostasse verso la valle del Foro repubblicano.

LE EPOCHE REGIA E REPUBBLICANA

La zona, in origine paludosa e soggetta a continue inondazioni del fiume, venne bonificata nel VI sec. a.C., a seguito della costruzione della Cloaca Maxima. Il fiorente mercato che si venne sviluppando in epoca repubblicana era centrato sul commercio di bovini, di qui il nome di Boario, e di altri prodotti di pregio, quali a esempio il sale, sostanza fondamentale per la conservazione degli alimenti.

Le attività svolte nel Foro Boario vennero, sin dalle origini, celebrate e messe in rilievo dalla realizzazione di aree sacre dedicate a divinità afferenti alla sfera del commercio, di cui oggi restano quelle dedicate a Portuno, e a Ercole: rispettivamente il più antico esempio di architettura templare completa di epoca repubblicana e il più antico esempio rimastoci di tempio in marmo a Roma.

DALL’IMPERO AI GIORNI NOSTRI

Con l’espansione romana nel bacino del Mediterraneo e la creazione dei grandi porti di età imperiale, il Foro Boario perse gradatamente la sua funzione commerciale – che venne spostata nell’area dell’attuale Testaccio –, pur mantenendo per i romani il suo carattere sacro, anche per la vicinanza con il luogo dove la leggenda vuole si fosse arenata la cesta con Romolo e Remo.

Oltre ai templi di Portuno e di Ercole, al Foro Boario sono oggi ancora visibili i resti dell’Arco degli Argentari, la chiesa medioevale di Santa Maria in Cosmedin con la Bocca della Verità e, nella parte orientale, l’Arco di Giano. Con la sua imponente struttura quadrifronte, l’arco segnava un importante crocevia tra il Foro Boario, il Palatino, il Circo Massimo e i limiti meridionali del Campo Marzio.

La sopravvivenza di questi edifici antichi è dovuta al loro riutilizzo in epoca medioevale: l’Arco di Giano divenne una fortificazione, mentre i templi di Portuno e di Ercole Olivario vennero trasformati in chiese.

CREDITS

Soprintendenza Speciale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Roma Soprintendente

Francesco Prosperetti

Direttore del progetto di restauro e Direttore scientifico Maria Grazia Filetici e Mirella Serlorenzi

Responsabile del progetto per il WMF Alessandra Peruzzetto

Restauro delle superfici Cristina Vazio s.a.s.

Lavori di messa in sicurezza e restauro Ethos Nova s.r.l.

Consulenza strutturale Stefano Massimino

Collaborazione alla progettazione Serena Belotti e Ilaria Jovine

Coordinatore alla sicurezza Andrea Greco

Fotografia e Video Lorenzo Nardelli, Paolo Soriani, Enrico Fontolan

Analisi scientifiche Domenico Poggi

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