Ferrara e il Museo dell’Ebraismo

Ferrara. Si alza il sipario sul Meis, il Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah, pensato per raccontare l’esperienza degli ebrei italiani, da ventidue secoli parte viva del tessuto del Paese.

Si tratta di un grande edificio, nel cuore di Ferrara, che fino al 1992 ospitava le carceri cittadine – il luogo di reclusione ed esclusione per antonomasia – e che torna a nuova vita come museo dedicato alla storia e alla vita ebraica.

A nobilitare lo spazio museale, istituito dal Parlamento nel 2003 e finanziato dal Mibact con 47 milioni di euro, gli oltre due millenni di presenza ebraica in Italia e l’apporto dato da questa comunità allo sviluppo del Paese attraverso un percorso scientifico culturale di ampio respiro. Percorso che verrà completato, nel 2020, con la creazione di cinque edifici moderni a richiamare i cinque libri della Torah.

Questo, ha osservato Franceschini, “è un luogo importante perché ricorda la presenza ebraica nel Paese, e sarà un luogo molto importante per i ragazzi, per le persone che sanno poco della storia millenaria dell’ebraismo italiano. Inoltre” – ha aggiunto – “sarà un luogo di interesse per il turismo internazionale: lo abbiamo presentato a New York e a Gerusalemme e abbiamo avuto manifestazioni di grandissimo interesse”.

Il museo ferrarese, nato grazie a una legge votata dalla Camera e dal Senato unanimemente, ha argomentato ancora il ministro di beni culturali e turismo, punterà anche “sul turismo scolastico, sul portare i ragazzi dall’Italia e dall’estero” a conoscere capire, “perché investire in conoscenza significa offrire l’antidoto più forte a tutti i rischi e le paure di questo tempo”.

Nel giorno dell’inaugurazione, il Meis si è aperto alla cittadinanza presentando lo spettacolo multimediale ‘Con gli occhi degli Ebrei italiani’, sorta di introduzione permanente ai temi del museo e con il percorso espositivo ‘Ebrei, una storia italiana. I primi mille anni’.

Un ‘caleidoscopio’ – in calendario fino al prossimo 16 settembre – ideato per rivelare origini dell’ebraismo italiano attraverso il racconto curato da Anna Foa, Giancarlo Lacerenza e Daniele Jalla, con l’allestimento dello studio Gtrf di Brescia.

A cucire il filo rosso della narrazione, oltre 200 oggetti preziosi, fra i quali venti manoscritti, sette incunaboli e cinquecentine; diciotto documenti medievali, quarantanove epigrafi di età romana e medievale e 121 tra anelli, sigilli, monete, lucerne e amuleti, poco noti o mai esposti prima, provenienti dai musei di tutto il mondo: dalla Genizah del Cairo, al Museo Archeologico Nazionale di Napoli; dai Musei Vaticani, alla Bodleian Library di Oxford, dal Jewish Theological Seminary di New York alla Cambridge University Library.

 

Fonte: Ansa

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