In arrivo il test del Dna per il mostro di Loch Ness


Roma. L’alone di mistero e leggenda che da quasi 18 secoli circonda il celebre lago scozzese di Loch Ness, nonché il fantomatico mostro che nuoterebbe nelle sue acque, potrebbe essere finalmente diradato da una spedizione scientifica.


I ricercatori dell’università neozelandese di Otago, guidati da Neil Gemmell, raccoglieranno l’acqua del bacino scozzese a tre profondità diverse e le analizzeranno impiegando il metodo del Dna ambientale, che consiste nell’analisi delle tracce lasciate in acqua da qualunque organismo viva nel lago. Oltre a ottenere un censimento unico, questa sorta di setaccio molecolare potrebbe mettere la parola fine a un mistero ormai antichissimo.

La partenza della spedizione è prevista nel giugno 2018 e la presentazione dei risultati è attesa per gennaio 2019. Il programma prevede l’analisi delle acque dei laghi Garry, Morar e Oich e il confronto dei dati con quelli relativi alle acque di Loch Ness.

I ricercatori si serviranno del Dna ambientale per identificare le minuscole tracce presenti nelle acque in cerca di eventuali analogie con la presenza di un enorme rettile marino ormai estinto, come quello teorizzato dalla cosiddetta ipotesi Giurassica. 

Se dovessero arrivarene sarei sorpreso, ma sono aperto a ciò che scopriremo“, ha detto Gemmell. Secondo il ricercatore è possibile che “pesci grandi come il pesce gatto o lo storione abbiano contribuito alla nascita del mito del mostro“, ma ha annunciato che verificherà questa ipotesi, così come le altre.

Il progetto – ha aggiunto – è molto di più che la caccia a un mostro. Ci sono tantissimi altri dati che possiamo acquisire studiando gli organismi di Loch Ness, che è lo specchio d’acqua dolce più grande del Regno Unito“. Secondo Gemmell l’analisi del Dna permetterà di documentare nuove specie, soprattutto batteri, e offrire dati importanti su quanto siano diffuse sia le nuove specie invasive presenti da poco nel lago, sia quelle native.

Qualsiasi creatura che si muova nel suo habitat lascia minuscoli frammenti del Dna presenti nella sua pelle, squame, piume, pelliccia, feci e urine. Questa tracce genetiche – ha detto il ricercatore – possono essere raccolte e il Dna può essere estratto, sequenziato e utilizzato per identificare gli esseri viventi confrontando le sequenze trovate con quelle presenti nelle grandi banche dati genetiche“.

Fonte: ANSA

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