Lo chef di Pipero Ciro Scamardella racconta la sua ricetta del successo: intraprendenza, studio e passione “rossa”


Intervista a Ciro Scamardella, chef stellato del ristorante Pipero Roma. Parole chiave: gli ingredienti del suo successo, come nascono i suoi piatti, la cucina straniera che preferisce e il colore che più lo rispecchia.


Ha gli occhi che brillano Ciro Scamardella, chef bacolese di nascita e d’anima, figlio del mondo per mestiere e passione. Prima ancora di iniziare a parlare, quel luccichio nel suo sguardo trasmette già più di quanto potrebbe mai dire: un amore smisurato per il proprio lavoro, un’allegria tutta partenopea, l’entusiasmo di fare il proprio mestiere – bene, con competenza – che non può essere turbato dalla fatica quotidiana, rivelata invece dalle occhiaie marcate.

 

A 31 anni hai già raggiunto grandi traguardi: sei lo chef di un ristorante al centro di Roma, il Pipero, con una stella Michelin, hai lavorato con i grandi maestri internazionali di cucina. Cosa si prova?

Tu adesso l’hai appena descritto e io ho la pelle d’oca, non mento! È un’emozione difficile da descrivere, perché sono tantissime responsabilità. Se poi aggiungiamo che da qualche mese sono diventato papà… è un’ulteriore responsabilità! Questo mestiere è molto piramidale: inizi da stagista, da commis, e guardi sempre l’apice della piramide e cerchi di scalarla e capire quali sono le nuove responsabilità, i nuovi pesi… La cosa bella è che sembra di non riuscire mai ad arrivare, quindi sembra che aumentano le angosce e le paure, però poi tutto questo dona un’emozione, un’adrenalina bellissima.

Questo è interessante da sapere per gli aspiranti chef: quanto conta l’intraprendenza per arrivare in alto? Quanto ha contato per te?

Tutto. È tutto. È la prima cosa che dico ai ragazzi quando iniziano da noi, nella nostra bellissima azienda, Pipero: prima di tutto il rispetto e l’educazione, e poi voglia di fare. Non conta essere professori (parlo sempre per i ragazzi, per l’amor di Dio), e sentirsi già arrivati dopo il secondo stage. Bisogna avere fame, questa fame perenne di comprare i libri… Io ho il ricordo di quando facevo da commis nel ristorante vicino casa. Quei soldi mi servivano, li mettevo da parte, andavo alla Feltrinelli a Napoli, dietro Piazza del Plebiscito, dove all’epoca lo spazio per i libri di cucina era piccolissimo, andavo lì e prendevo due libri al mese.

 Quindi lo studio è stato importante?

È stato fondamentale. Non quello a scuola, perché non sono stato proprio un bravo studente, ecco… [ride]. Ho preferito macinare sul campo, fare diversi stage.

 Come nasce l’idea di un tuo piatto, da cosa trai ispirazione?

Da tutto e da poco. C’è per esempio la mozzarella con sorpresa, un piatto che abbiamo in carta al ristorante Pipero… È un piatto che vuole mettere insieme tre artigiani, quindi c’è: l’artigiana che mi ha disegnato e preparato i piatti, la signora Fiorella, che sta ai Castelli, e usa questa tecnica del  raku… Un genio! Dall’altra parte c’è il casaro che ci manda delle mozzarelle tutti quanti i giorni, mozzate a mano, solo latte di bufala… E poi c’è il lavoro del cuoco, perché il cuoco fondamentalmente è un artigiano. Diceva Bottura che noi siamo artigiani ad altissimo rischio, perché creiamo tutti i giorni sempre la stessa opera. E quindi, ecco, la mozzarella è nata dalla voglia di mettere insieme tre artigiani e richiamare le mie radici campane a cui sono legatissimo (lo evidenzio anche nel programma che facciamo su Sky Gambero Rosso, Ciro a mamma’). Poi magari un piatto nasce per errore!

Conta più la creatività o la tecnica?

Secondo me è importante che la tecnica sia un mezzo per esaltare il gusto. Il commensale ha voglia di ascoltare, ma poi tutto quello che va raccontato va percepito al palato. Se noi riusciamo ad esaltare il piatto il più possibile in trenta secondi bene, altrimenti la tecnica possiamo anche tenercela per noi, perché la tecnica è dell’ego dello chef, sapere che sappiamo utilizzare determinate cose… Al cliente non interessa.

Qual è il colore che più ti rappresenta?

Il rosso. Il rosso è tutto, rosso è passione, rosso è forza… È il colore che mi piace di più, poi si dice, se posso, che noi meridionali siamo come i tori: vediamo rosso, perché dove ci sta il pomodoro per noi è buono, e quindi… evviva il rosso!

Parliamo un po’ di viaggi: tu hai viaggiato molto per la tua formazione, immagino…

Tanto. La mia seconda passione è proprio viaggiare!

Qual è il tuo piatto preferito della tradizione straniera? O un tipo di cucina straniera che preferisci?

Allora, io sono innamorato follemente della cucina dei Paesi Baschi, quindi di San Sebastián, Bilbao, Santander, hanno delle cose buonissime.

Che non è tanto famosa…

Non è tanto famosa, però c’è una concentrazione di ristoranti stellati, i 3 stelle sono tutti lì. Basti pensare che c’è l’Akelarre, c’è Martín Berasategui dove ho lavorato, c’è il Mugaritz, c’è la famiglia Arzak… Sono tutti lì. E quindi un piatto che io porto nel cuore con tanto amore è la cococha. La cococha è la gola del merluzzo, che loro fanno alla “pil pil”, quindi emulsionando con olio extravergine il collagene del pesce, che fa una cremina.

Parlando di progetti futuri: pensi di rimanere in Italia o hai in mente di viaggiare?

Diciamo che adesso le radici sono ancora più forti in Italia, con bimbo e famiglia e moglie, però secondo me c’è sempre da imparare e sempre da viaggiare. Quindi tante cose all’estero continueremo a farle, però portiamo un po’ di cultura… Mischiamo le due culture, quella campana mista a quella romana, e assorbiamo come delle spugne tutte le altre.

TgTourism ti ringrazia. Ci vediamo da Pipero!

Grazie a voi!

 

Potrebbe interessarti:

 Marianna Vitale si aggiudica il premio speciale Michelin Chef Donna 2020
Print Friendly, PDF & Email

copyright Riproduzione riservata.