Leonardo al Louvre, il mistero e la bellezza della sua Vergine


È stata inaugurata ieri 24 ottobre al Louvre la grande mostra dedicata a Leonardo da Vinci. Qualche riflessione a margine dell’evento.


L’elemento del mistero è un topos quando si parla di Leonardo da Vinci, vuoi per la sua vocazione universale e il folle tentativo di sapere tutto, vuoi per una fama che affonda a piene mani anche nel mainstream dei bestseller di Dan Brown. Due mondi apparentemente inconciliabili, ma che, ovviamente sotto la Piramide del Louvre, finiscono sempre per scontrarsi, fondersi, alla fine in un certo modo anche coincidere. Soprattutto nell’atto dello stupore di fronte ad alcune meraviglie assolute che la grande mostra parigina “Léonard de Vinci”, realizzata in collaborazione con il Comune di Milano, propone al pubblico per quattro mesi nella Hall Napoleon, rigorosamente con prenotazione obbligatoria.

Il mistero, si diceva, e basta muoversi tra le sale dell’esposizione per sentire, oltre al peso di una storia che lo stesso palazzo del Louvre porta scritta nelle sue mura, tutta la fascinazione delle ricerche portate avanti in modo compulsivo da Leonardo. Una fascinazione che è altra, che spalanca finestre su futuri mai arrivati e su capolavori mai diventati qualcosa di reale. Ma la domanda vera, mentre ci si perde tra Codici e schizzi, dipinti e veri e propri paesaggi mentali collettivi, come, per dirne uno, l’Uomo di Vitruvio, è quella su che cosa poi sia effettivamente reale, qui nella mostra e fuori, nel grande mondo umano che Leonardo ha contribuito a costruire, con i suoi volti, le sue invenzioni impossibili, il suo sguardo tra arte e scienza.

Ovviamente una risposta profonda sta ai filosofi; quello che possiamo dire, da cronisti, è che la sensazione di realtà esplode letteralmente di fronte ad alcuni “momenti leonardiani”, siano essi un bozzetto a matita sanguigna per il viso di un lottatore – un pezzo clamoroso, di una universalità mozzafiato – oppure, più noto, più “vicino”, ma non per questo meno stupefacente, il volto di Maria nel grande dipinto-testamento di da Vinci, la Sant’Anna con Vergine e Bambino che in qualche modo chiude il percorso emotivo della mostra. Tra l’altro collocato nella stessa sala di una versione minore del celeberrimo (e forse troppo citato, permettetecelo) Salvator Mundi, quello che è andato all’asta per 450 milioni di dollari e che al Louvre, salvo clamorosi colpi di scena in corso d’esposizione, non arriverà.

Il sorriso della Vergine, allo stesso livello di valore di quello della Gioconda, qui ancora più caldo, umano, figlio di un equilibrio tra una serie di sensazioni che hanno la profondità di un ragionamento teologico sul ruolo di Maria nel disegno della Redenzione, ma anche quella di un’indagine sul cuore degli esseri umani che va oltre il regno, vastissimo e potentissimo, delle parole. In quel ritrarsi, esponendosi, della Madonna, c’è la storia universale delle relazioni tra gli uomini; c’è la miracolosa tensione dei sentimenti opposti che coincidono, per un attimo, con la perfezione assoluta di un Momento. C’è, soprattutto, e qui si chiude il cerchio, il mistero definitivo dell’arte, quello stesso che si continua proficuamente a manifestare anche nei migliori lavori dei contemporanei (come ama dire il ministro Franceschini, e tanti altri insieme a lui, ogni opera quando è stata realizzata era arte contemporanea), ma che in certi momenti ha toccato una vetta di perfezione che appare inarrivabile. Naturalmente non esiste una sola vetta, anzi, quindi nessuna Fine della storia alla Fukuyama, per fortuna, il gioco continua e continuerà ancora in modi lontanissimi dalla pittura, ma che il volto della Vergine di Leonardo sia una vetta vera è decisamente fuori discussione.

Fonte: askanews

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