Sapori d’autunno nella Puglia autentica, il borgo di Minervino Murge


La Sagra del Fungo Cardoncello a Minervino Murge in Puglia è un evento enogastronomico di punta nella regione che richiama ogni anno migliaia di golosi. Quest’anno le restrizioni anti-pandemia hanno posticipato e ridimensionato la festa. Ma resta l’occasione perfetta per scoprire sapori e folklore di uno dei borghi più belli d’Italia, meta del cuore della regista Lina Wertmüller.


C‘è grande attesa tra le strade di Minervino Murge in Puglia, l’ultimo sabato di ottobre. È la Sagra del Fungo Cardoncello, l’evento enogastronomico più atteso dell’anno dai buongustai di tutta la regione. Turisti e paesani iniziano ad affollare il corso principale del paese a poco a poco, a rifluire nella piazza e poi su, nella strada che passando tra la Torre dell’Orologio e la Cattedrale, e affiancando il centro storico, conduce fino al Comune, quello che un tempo era stato un Castello normanno-svevo.

Un odore penetrante di funghi e finocchietto, di carne arrostita e focaccia appena sfornata si insinua tra le case imbiancate a calce, si mescola ai rumori della festa: voci, risate e un suono sempre più forte di fisarmoniche e tamburelli, in piazza, dove si balla la pizzica e la tarantella. Si accendono le luci degli stand, una lunga fila di espositori dove trionfano leccornie di ogni genere: qui ci sono i produttori, che vendono le proprie specialità gastronomiche – olio, vino, salumi, formaggi – e ci sono i cuochi, che tentano i passanti con i piatti della tradizione, offerti in porzioni generose e con dell’ottimo vino rosso.

E poi ovviamente c’è lui, il protagonista dell’evento: il fungo cardoncello. Sodo, carnoso e profumato, il cardungìdd (questo il suo nome in dialetto minervinese) è stato omaggiato anche con altri aggettivi che lo rendono speciale tra tutti i funghi: “discreto” come il suo profumo, “onesto” perché non si confonde con nessun fungo velenoso, “democratico” perché non copre ma valorizza il sapore degli altri ingredienti. Fungo “proibito”, secondo la leggenda: si dice che per le sue doti afrodisiache venne messo all’Indice dal Santo Uffizio. Cresce spontaneo in diverse zone del Centro e Sud Italia, ma trova il suo habitat ideale nelle Murge appulo-lucane: e per questo oggi è il simbolo della cucina tradizionale murgese.

Durante la sagra lo si può assaggiare in tutte le sue forme: trifolato, al forno, in padella con i pomodorini… ma soprattutto cotto insieme alla salsiccia, il secondo che regna sulle tavole dei minervinesi. Non solo funghi, comunque: gli stand propongono vari piatti della tradizione locale, dalle focaccine fritte (cùculi fritti) ai dolci, come le mandorle zuccherate. Balli e canti folkloristici rallegrano la serata. È un momento in cui il cibo diventa cultura e condivisione: la festa richiama i pranzi allegri e chiassosi della domenica in famiglia, tutti stretti intorno a una tavola imbandita, dove il piacere per il buon cibo si mescola al gusto di stare insieme.

Sembra passato un secolo da quando tutto questo faceva parte di una normalità rassicurante, che si è ripetuta identica per venticinque anni con la forza incrollabile delle tradizioni. Poi, all’improvviso, tutto è cambiato. Per la prima volta dopo venticinque anni, nel 2020 le strade di Minervino Murge sono rimaste silenziose e deserte. Spettrali. Quella stessa convivialità allegra che univa abitanti e turisti nella storica festa d’autunno è diventata un pericolo da temere. Quest’anno la sagra è stata spostata agli ultimi giorni di novembre: poche bancherelle, che sfidano il gelo tipico dell’entroterra pugliese in questo periodo. Qualche coraggioso passante si avventura per le vie spopolate, munito di green pass e mascherina, sulla scia di un ricordo che non può ripetersi. Restano le bellezze storiche e naturalistiche di Minervino Murge, “Borgo Autentico d’Italia“: quelle, neanche il Covid potrà portarle via.

Il borgo

Sei più duro dei chiangheun delle Murge!” dicono le donne minervinesi a un figlio particolarmente testardo. Le “chianche”, o “chiangheun” contraddistinguono infatti il paesaggio murgese: un susseguirsi di colline brulle e sassose, dove il bianco della pietra calcarea squarcia di continuo la terra.

In questo scenario sorge il borgo di Minervino Murge, a ridosso del Parco Nazionale dell’Alta Murgia, dove gli appassionati di bird watching potranno divertirsi ad avvistare il falco grillaio, specie protetta. Chiamato “balcone di Puglia” per la posizione privilegiata sulla valle dell’Ofanto, Minervino sorveglia il confine tra la Puglia  e la Basilicata.

Qui sembra di ritornare a un passato contadino, quando la vita era scandita dai ritmi della terra. La modernità si affaccia con discrezione, ma la sensazione che prevale è quella di vivere in un altro tempo. Dev’essere stata anche la sensazione provata dalla regista Lina Wertmüller, premio Oscar alla carriera 2019, che scelse Minervino per girare il suo primo film I basilischi.

Minervino ha una storia millenaria. Secondo la leggenda, il borgo nacque durante la battaglia di Canne del 216 a.C., quando un soldato romano si innamorò di una pastorella del posto e la sposò nel tempio di Minerva, oggi grotta di San Michele. I reperti archeologici ritrovati attestano invece un’origine ancora più antica, da far risalire persino al II millennio a.C. Ecco cosa vedere oggi che testimoni questo lungo passato.

Cosa vedere

  • Cattedrale di Santa Maria Assunta

È stata per sei secoli sede vescovile. Riedificata sull’area della precedente costruzione di età normanna, venne consacrata nel 1608.

  • Torre dell’Orologio

Furono i feudatari di Minervino Murge, la famiglia Orsini – Del Balzo, a costruire la torre nel Quattrocento, probabilmente a scopi difensivi. Successivamente divenne una torre campanaria, dal caratteristico colore giallo.

  • Castello normanno-svevo

Oggi è sede del municipio, ma il Castello ha origini normanne: la parte più antica risale all’XI secolo. Nel Trecento è stato al centro delle battaglie tra la famiglia dei Pipino e quella dei Del Balzo. Nel Seicento i Principi Pignatelli lo trasformarono in una lussuosa dimora, aggiungendo la facciata e il corpo anteriore. Il Castello ospitò per qualche anno il valoroso Cavaliere Bayard (Pierre de Terrail III), protagonista della guerra tra spagnoli e francesi nei primi anni del Cinquecento. A lui la tradizione ha dedicato il Panetto di Minervino, dolce tipico a base di fichi secchi, uva passa, mandorle, profumi di arancio e vin cotto.

  • Faro votivo

Un faro senza mare? A Minervino c’è. È il punto di riferimento del paese: dalla sua cima si può godere di una vista suggestiva che spazia dal Vulture al Gargano, fino al Golfo di Manfredonia. Quando fu costruito era un monumento votivo dedicato “ai martiri fascisti”; a fine guerra si pensò di abbatterlo, ma per fortuna ci si limitò ad attenuare i riferimenti al regime: si eliminarono i simboli fascisti e anche l’iscrizione sul frontone fu dedicata “ai martiri di Puglia”, senza distinzioni.

  • Grotta di San Michele

Ai piedi del paese, sulla scia di una lama (antico canale di origine carsica) si trova la grotta di San Michele, la cui formazione risale a due milioni di anni fa. In passato fu probabilmente un tempio pagano (forse dedicato a Minerva), poi fu convertito al culto micaelico. Ancora oggi è un luogo di culto affascinante, plasmato pazientemente dall’acqua durante i millenni.

  • Santuario della Madonna del Sabato

Poco fuori dal centro abitato, il Santuario è dedicato a quella che, con San Michele, è la protettrice del paese: la Madonna del Sabato. La chiesa sorge su una grotta scavata nel tufo, al cui interno è conservato un dipinto della Vergine col Bambino. Dietro il ritrovamento del dipinto c’è un’antica leggenda: si racconta che il Principe Pignatelli, durante una battuta di caccia, avesse smarrito il suo cane, che si era infilato in una fenditura del terreno. Guidato dai suoi latrati, il Principe riuscì a raggiungerlo: e scoprì che la fenditura era in realtà una grotta, nella quale fu trovata l’immagine della Vergine dipinta su un muro. La scoperta miracolosa avvenne di sabato: per questo da allora la Madonna prese il nome di “Madonna del Sabato”.

  • Scesciola

Il cuore del paese è il suo nucleo più antico, la “Scesciola”: il nome deriva dall’arabo e significa “labirinto“. La Scesciola infatti è un intreccio fitto di vicoli stretti e sinuosi, alcuni larghi a malapena da far passare un uomo, stretti a volte da archetti rampanti in un abbraccio di pietra. Qui si può vedere ancora la casa di Eusapia Palladino, fattucchiera dell’Ottocento che fece fortuna in Europa e affascinò persino Arthur Conan Doyle.

Come arrivare

In auto

  • La S.P. 234 (già S.S. 170) nota anche come “Strada del Castel del Monte”. Attenzione ad alcune curve e in inverno alla neve e al ghiaccio e alla limitata larghezza della carreggiata. La visuale sul Castel del Monte ricompensa dell’attenzione da porre alla guida.
  • La S.P. 230 (già S.S. 97 “delle Murge”) collega Minervino dal lato Nord con Canosa ed Andria, mentre dal lato Sud con Spinazzola e quindi Gravina in Puglia. Attenzione in inverno alla neve al ghiaccio, al fango e alla limitata larghezza della carreggiata. Particolarmente suggestiva la veduta sulla Murgia più brulla nei pressi di Poggiorsini dove spicca la formazione rocciosa del “Garagnone”.
  • La S.P. 64 “Minervino Lavello” collega Minervino con la regione Basilicata. Attenzione ad alcune curve e alla scarsa segnaletica.
  • Strada Regionale n. 6 “della Murgia Centrale” che mette in comunicazione il casello autostradale A 14 di Canosa di Puglia con la S.P. 138 “Cavoni”, con tre svincoli di uscita in prossimità dell’abitato di Minervino.
In Treno 

È possibile arrivare a Barletta con le Ferrovie dello Stato (Trenitalia); da Barletta si arriva a Minervino con un autobus sostitutivo.

In Aereo

L’aeroporto più vicino è quello di Bari Palese che dista circa 70 chilometri.

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