A Roma torna a splendere la beata Ludovica Albertoni del Bernini


Dopo sei mesi di restauri torna a splendere nella chiesa di San Francesco Ripa a Roma la cappella Albertoni del Bernini, capolavoro barocco a Trastevere.


Il marmo di Carrara che dopo vent’anni recupera candore e lucentezza, il volto della beata Ludovica Albertoni che ha ritrovato tutta la sua magia, così come le membra contorte dallo spasmo dell’estasi, le vesti, il drappo che ricopre il giaciglio, persino i pizzi del cuscino, mentre tutto intorno la doratura degli stucchi quasi abbaglia e i puttini, che il grande Bernini volle far volare giocosi sotto alla tela che ritrae Sant’Anna, tornano a mostrare il loro volto. Grazie a sei mesi di pulitura e restauri curati dalla soprintendenza speciale di Roma in accordo con il Fondo Edificio di culto, torna a splendere nella chiesa di San Francesco a Ripa, a Trastevere, la strepitosa cappella Albertoni, che un intervento dello scultore, allora già 76enne, trasformò in un luogo magico, capolavoro del barocco, grazie all’architettura, alla scultura e alla sua insuperabile maestria con la luce. “Un delicato restauro che unisce alla salvaguardia e alla tutela un miglioramento per la fruizione”, spiega la soprintendente Daniela Porro, sottolineando che i lavori, finanziati dalla soprintendenza ed affidati alla restauratrice Elisabetta Zatti, sono costati in tutto 39mila euro.

Per questa commissione, che gli era stata chiesta dal principe Angelo Paluzzi e che l’ormai anziano scultore portò a termine con incredibile velocità, straordinaria anche per la fatica fisica che deve essere costata, Bernini non volle essere pagato. “Forse perché aveva bisogno di ingraziarsi il papato per consentire il ritorno in Italia di suo fratello, esiliato dopo lo scandalo di uno stupro”, spiega il funzionario storico dell’arte della soprintendenza speciale Carlo Mastroianni. Un’ipotesi che sarebbe suffragata anche dalle ultime scoperte fatte da Federica Di Napoli Rampolla negli archivi della famiglia Altieri, dove è stata trovata tutta la documentazione di questo lavoro senza però nessuna fattura che attesti un pagamento allo scultore.

Tant’è, la mano di Bernini potrebbe essere – è l’ipotesi della restauratrice – anche in uno dei puttini che volano sulla beata, il più vicino a lei da sinistra. La pulitura del marmo (anche del diaspro rosso nel quale è realizzato il drappo appoggiato ai piedi del letto della beata, realizzato più tardi su disegno di Bernini) ha portato in evidenza, spiega la restauratrice, la tipica modalità di lavoro del Bernini, che era solito lavorare il marmo delle sue statue con finiture diverse, dal lucido al grezzo, proprio per consentire alla luce di metterne in evidenza i chiaroscuri, “quasi usasse un pennello”. Un grande lavoro anche di scenografia, quello di Bernini in questa cappella, con il fondo arretrato in modo da consentire la creazione di due quinte e nascondere due finestre che da destra e da sinistra facessero arrivare sulla sua opera la luce naturale. Purtroppo una di queste finestre oggi è chiusa. E anche se venisse riaperta all’esterno c’è un edificio – che all’epoca di Bernini non c’era – che non permette alla luce di arrivare come un tempo.

Proprio per questo i lavori proseguiranno ora, spiega la soprintendenza, con uno studio per ricreare la giusta illuminazione con un investimento che è stato stimato intorno ai 15 mila euro. Non solo: proprio per consentire una pianificazione per i lavori di manutenzione e di restauro delle chiese romane di proprietà del Fec, annunciano la soprintendente e il prefetto Angelo Carbone, è stata creata una commissione con uno storico dell’arte, un architetto, un restauratore e un esponente del Fondo che lavorerà ad un cronoprogramma degli interventi.”Per tutti i restauri necessari alle chiese italiane di proprietà del Fondo – sottolinea il prefetto – stimiamo una necessità di 70 milioni di euro. Soldi che il Fec al momento non possiede. Il ministero dell’Interno sta cercando di recuperare fondi da destinare a questi lavori”.

A Roma ci sono grandi lavori da fare con due assolute priorità: “La chiesa della Minerva e la chiesa di San Biagio e San Carlo, entrambe ora chiuse al pubblico”.

Nella penombra della splendida chiesa di San Francesco a Ripa , intanto, l’estasi della beata commuove. “Come soprintendenza sono decisa a lavorare per questo – conclude Porro – valorizzare i nostri tesori e renderli visibili e accessibili ai turisti e prima di tutto ai cittadini. L’arte si salva anche così, facendo crescere intorno a noi l’orgoglio dell’appartenenza”.

Fonte: Ansa

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