Mare cristallino. Natura incontaminata. Un borgo medioevale. E infinite attività per non annoiarsi, dalle immersioni nel Santuario dei Cetacei alle degustazioni di vini pregiati. L’Isola del Giglio ci porta in un mondo incantato, lontano dagli affanni della vita quotidiana.
A meno di un’ora di navigazione dal monte Argentario, in Toscana, un piccolo paradiso accoglie i turisti con la sua sinfonia di colori e profumi. È l’Isola del Giglio, scrigno di una natura incontaminata, “perla” dell’Arcipelago Toscano che trova ragione in un’antica leggenda: quella della collana di perle della dea Venere, che rompendosi e cadendo nelle acque del Tirreno diede vita alle sette isole dell’Arcipelago Toscano.
Il nome del Giglio è legato indissolubilmente a un evento drammatico della storia recente, il naufragio della Costa Concordia del 2012. Ma l’isola ha alle spalle una storia molto più antica, segnata dal succedersi delle dominazioni: dai Romani ai Carolingi, ai Pisani, ai Senesi, agli Aragonesi, ai Francesi, ai Lorenesi, senza contare le numerose incursioni dei Turchi, fino all’annessione al regno d’Italia.
Difficile immaginare queste turbolente vicende guardando l’isola oggi, che con le sue acque azzurre e le sue spiagge chiare, i pendii rigogliosi di macchia mediterranea interrotta soltanto dai tagli geometrici delle vigne, sembra stata creata con l’unico scopo di sciogliere gli affanni e calmare gli animi irrequieti. Delle vicissitudini storiche resta una traccia nelle architetture dei tre nuclei principali dell’isola: Giglio Porto, Giglio Castello e Giglio Campese. Ma ciò che balza di più all’occhio è il patrimonio di piante, erbe, fiori e animali, una biodiversità sorprendente in uno spazio circoscritto di appena 21 chilometri quadrati. Grazie a questo patrimonio naturale, l’isola è inclusa nel Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano ed è considerata zona di protezione speciale.
Curiosità
Perché l’Isola del Giglio si chiama così? Anche se è invasa dal profumo dei fiori, il suo nome non ha nulla a che fare con il Lilium latino. Né con la dominazione fiorentina, che ha nel giglio il simbolo inconfondibile. Pare invece che il nome Giglio derivi dal greco aigilion, che significa “capra”: l’isola dei gigli sarebbe, in realtà, l’isola delle capre.
Cosa fare all’Isola del Giglio
Come passare il tempo all’Isola del Giglio? Il programma di attività possibili è sorprendentemente ricco per un’isola di medie dimensioni. Tra sessioni di yoga al tramonto, escursioni tra i vigneti, hiking sulle vette di Poggio della Pagana e Castellucci e passeggiate tra le stradine del borgo medioevale, al Giglio è davvero impossibile annoiarsi.
Le coste offrono un panorama variegato, alternando spiagge di sabbia finissima alle falesie di granito. Noleggiando un gommone potrete avventurarvi anche nelle molte calette solitarie dell’isola, aperte tra le pareti rocciose. Le acque trasparenti e i fondali ricchi di pesci e coralli regaleranno più di un’emozione agli amanti dello snorkeling e delle immersioni subacquee. Se sarete fortunati, potrà capitarvi persino di avvistare un delfino: il Giglio fa parte del “Santuario dei cetacei”, un’area marina protetta compresa tra Toscana, Sardegna, Liguria e Costa Azzurra in cui vivono molti esemplari di questi mammiferi marini.
Non può mancare una passeggiata nei tre centri abitati dell’isola, Giglio Porto, Castello e Campese. Giglio Porto è il primo che incontrate prendendo il traghetto da Porto Santo Stefano. Piccolo e pittoresco, è racchiuso tra due moli e protetto da un anfiteatro collinare terrazzato a vigneti. Qui potrete fare acquisti tra le molte botteghe artigianali o fermarvi a pranzo in uno dei ristoranti che affaccia sul mare.
Una stradicciola tortuosa collega il Porto con Giglio Castello, che da un’altezza di 405 metri sorveglia l’orizzonte. Il borgo ha mantenuto l’originario aspetto medioevale, con l’anello di mura e torri che lo circondano completamente. All’interno delle mura, i vicoli, le piazzette, la chiesa e le vecchie case addossate le une alle altre confermano la sensazione di trovarsi in un’altra epoca.
Sulla costa occidentale, incorniciata tra la Torre medicea seicentesca e il Faraglione, uno scoglio alto circa 20 metri, c’è Giglio Campese. È l’area più turistica dell’isola, grazie alla presenza della spiaggia più ampia e delle molte strutture ricettive.
L’Ansonico, il vino “eroico” che sfida i venti e l’incuria
Il territorio montuoso dell’Isola del Giglio non sembra, all’apparenza, il luogo ideale dove praticare l’agricoltura, in particolare la coltivazione dell’uva. Eppure il Giglio preserva una tradizione vitivinicola lunga millenni, che sfida le condizioni morfologiche e metereologiche avverse.
L’uva “Ansonaca” (come dicono i gigliesi), o “Ansonica” (come dicono i continentali) ha origini mediorientali che risalgono all’antichità. Furono i romani a introdurre il vitigno nell’isola, circa 2000 anni fa. Qui, a dispetto delle aspettative, il vitigno ha trovato il suo ambiente ideale, temprato dalle siccità estive e dagli ostinati venti salmastri. Anzi, ciò che era pericolo è diventato risorsa, dando al vino quel carattere aspro e robusto che lo rende unico al mondo.
Per questa capacità di resistenza e adattamento all’ambiente, l’Ansonico è considerato un vitigno “eroico”: tuttora cresce sui terrazzamenti di muretti a secco a picco sul mare, dove i mezzi meccanici creati dall’uomo non sono in grado di arrivare. La cura della vigna e la raccolta dell’uva sono fatte a mano, come nei tempi antichi.
Persino nei terreni abbandonati l’Ansonico continua a produrre frutti spontanei: potrete imbattervi in piante di vite selvatiche durante le vostre passeggiate tra i sentieri, testimonianza della tenacia che contraddistingue, oltre agli abitanti dell’isola, anche i suoi prodotti naturali.
Il vino Ansonico è protagonista di un evento da non perdere nell’ultimo fine settimana di settembre, la Festa dell’Uva e delle Cantine Aperte a Giglio Castello. Per questa occasione, il suggestivo borgo si anima con eventi di musica dal vivo e degustazioni di prodotti tipici locali, dalla “zuppa del bracconiere” al coniglio alla cacciatora, dal baccalà con patate ai formaggi toscani, per concludere con i dolci tradizionali come il panficato, una pagnotta dolce a base di fichi e di noci ma anche di miele, vino e uva secca. Tutti ottimi piatti da accompagnare, ovviamente, con un bicchiere di vino Ansonico.
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