Pensate che Halloween sia una festa americana estranea alle nostre tradizioni? Niente di più sbagliato! Dal Nord al Sud sono molte le tracce di questa festa nella storia d’Italia. Zucche comprese!
Ma è davvero così? Davvero la festa di Halloween non ha legami con la nostra cultura?
Basta dare un’occhiata alla storia di Halloween e alle nostre tradizioni regionali per scoprire che non è così.
Iniziamo sfatando un mito: Halloween non è una festa americana. Si pensa sia nata, invece, in Irlanda, sulla scia di una festa antichissima chiamata “Samhain”, il capodanno celtico, che segnava il passaggio dall’estate all’inverno e dal vecchio al nuovo anno. In questo giorno, si pensava che l’aldilà si fondesse con il mondo dei vivi e che gli spiriti potessero tornare a vagare sulla terra.
Sempre in Irlanda sarebbe nata la leggenda di Jack O’ Lantern, patrono laico della festa con il suo simbolo ufficiale, la zucca. Da qui la festa è stata esportata dagli emigrati irlandesi dell’800 in America, dove ha trovato grande consenso.
Anche l’Italia, come sappiamo, ha la sua festa dei morti: si celebra il 2 novembre ed è una festa religiosa. Apparentemente ha poco a che fare con i travestimenti e i “dolcetto o scherzetto?“, ma in passato le cose stavano diversamente. Halloween, Ognissanti e la Commemorazione dei defunti sono tre feste che hanno molte cose in comune. A partire dalla loro origine: quando la Chiesa cattolica si trovò ad affrontare il problema delle feste pagane, tra cui quella di Halloween, molto radicate nei costumi popolari, capì che era più facile inglobarle che estirparle. In risposta ad Halloween, Papa Gregorio II spostò la festa di Ognissanti al primo novembre; più tardi, venne istituito anche il Giorno dei Morti, il 2 novembre.
Del resto la festa di Halloween è legata a quella di Ognissanti fin dalla sua nascita: la parola “Halloween” deriva da “All Hallows’ Eve“, e significa “la vigilia di tutti i Santi”.
Halloween all’italiana: tradizioni, usanze e curiosità
Ancora convinti che Halloween non abbia niente a che fare con le tradizioni italiane? Allora potreste rimanere a bocca aperta leggendo di queste usanze antichissime diffuse in molte zone della Penisola, alcune in vita ancora oggi.
A Orsara di Puglia, borgo pugliese in provincia di Foggia, anziché Halloween si festeggia la notte dei Fucacoste e Cocce Priatorje (“falò e teste del Purgatorio”) . Le “cocce” altro non sono che zucche intagliate, in origine a forma di croce, contenenti lumini accesi. Niente a che fare con Halloween: la festa sembra risalire addirittura all’anno Mille. La “notte del Purgatorio”, quella tra l’1 e il 2 novembre, le zucche col simbolo della croce venivano lasciate davanti alle case per scacciare le anime dei dannati dal banchetto serale, a cui potevano accedere solo le anime buone. Allo scoccare della mezzanotte, iniziava la questua: uomini incappucciati e vestiti di nero giravano in processione bussando a tutte le porte. Chiedevano “l’aneme d’i murt” (letteralmente, “l’anima dei morti”), cioè gli avanzi del banchetto, che ridistribuivano ai poveri. Portavano in mano una lanterna per scaldarsi: per questo la processsione era chiamata dei “Fucacoste” (“con accanto il fuoco”).
Ancora oggi a Orsara questa è la notte più luminosa dell’anno.
Le zucche si trovano anche nelle tradizioni della Calabria, in particolare a Serra S. Bruno (Vibo Valentia). Qui i ragazzini intagliano la zucca per riprodurre un coccalu di muortu, cioè un teschio: poi si aggirano per le strade chiedendo “Mi lu pagati lu coccalu?” (“Me lo pagate il teschio?”), che ricorda molto quel “trick or treat?” (“dolcetto o scherzetto?”) della tradizione anglosassone.
In Abruzzo le zucche si chiamano “Cocce de morte” e vengono portate in giro dai ragazzi come personificazione dei morti. Quando bussano alle porte e si presentano:”l’aneme de le morte!“, il padrone di casa si prepara ad offrire dolci, frutta secca o spiccioli. A volte l’elemosina è accompagnata da canti, come a Pettorano sul Gizio (L’Aquila), uno dei borghi più belli d’Italia, dove si intonano queste parole:
Ogge è lla feste de tutte li sande:
Facete bbene a st’aneme penande…
Se vvu bbene de core me le facete,
nell’altre monne le retruverete.
La tradizione italiana delle zucche connesse al culto dei morti è una coincidenza che ha fatto ipotizzare all’antropologo Luigi M. Lombardi Satriani che la festa di Halloween derivi proprio da ancestrali usanze del Sud Italia, poi approdate negli Usa con la spinta dell’emigrazione.
In Sicilia la “Festa dei Morti” è attesa soprattutto dai bambini: sanno che se sono stati bravi riceveranno in dono dai parenti defunti il cannistro, un cesto pieno di giocattoli e dolci. Tra questi ci sono i pupi di zuccaro, dolci antropomorfi, e le ossa ri morti, dolci a forma di tibie umane a base di farina, zucchero e chiodi di garofano. Della tradizione del cannistro parla anche Andrea Camilleri nel racconto Il giorno che i morti persero la strada di casa. È un’usanza tanto diffusa che nelle piazze vengono allestiti mercatini ad hoc, le “Fiere dei morti”, dove i genitori possono acquistare i regali per i loro piccoli.
In Sardegna Halloween ha molti nomi: i più diffusi sono Is Animeddas al sud e Su Mortu Mortu nel nord della regione. La sera del 31 ottobre si cena con la pastasciutta e si sta attenti a lasciare nel piatto una porzione per Maria punta boru, una vecchina che se non trova da sfamarsi… ti buca la pancia con il suo uncino (punta boru) per mangiare la tua pasta!
Ma anche nel Nord e Centro Italia non mancano le tradizioni legate ad Halloween e alla festa dei morti.
A partire dal Friuli, dove si celebra ancora l’antico capodanno celtico con la La Fiesta dalis Muars, che cade proprio il 31 ottobre. Nel dialetto locale, muars significa zucca, ed è proprio questo ortaggio al centro dei festeggiamenti: scavata e illuminata, viene posta davanti alla porta di casa per ingraziarsi gli spiriti. Nella regione si ritiene che in questa notte i morti possano uscire dalle tombe e andare in pellegrinaggio nelle chiese più isolate: secondo i racconti popolari, chi dovesse entrare in chiesa durante una di queste visite notturne morirebbe al canto del gallo.
In provincia di Massa Carrara in Toscana si festeggia il bèn d’i morti, un’occasione per ricordare i propri cari scomparsi attraverso gesti di carità. I parenti dei defunti erano tenuti a donare cibo ai più bisognosi; chi possedeva una cantina offriva un bicchiere di vino. A Castelpoggio di Carrara vengono organizzati ancora oggi pranzi aperti a tutti. Ai bambini si regalavano le “sfilze“, collane fatte di castagne bollite e mele.
In Valle D’Aosta e Piemonte sopravvivono ancora due tradizioni molto simili: si prepara una sontuosa tavola per far cenare i defunti e poi si fa visita al cimitero, per lasciare ai trapassati la libertà di banchettare in santa pace. Si racconta che durante queste cene gli spiriti parlino tra loro, predicendo l’avvenire dei propri congiunti.
Simboli e usanze vicine ad Halloween, ma molto diverse nei significati. Nelle tradizioni nostrane poco resta dell’immaginario macabro e della spettacolarizzazione splatter che ha fatto la fortuna della festa targata Usa. Ciò che emerge è un mondo in cui i morti convivono pacificamente coi vivi: le loro presenze sono richiamate, più che temute, e il fuoco, anziché mezzo per scacciare le loro anime, diventa il lume che le guida verso la strada di casa.
E l’uomo è restituito alla vita, mentre la presenza assillante del morto è trasformata in un’ombra protettrice (Ernesto de Martino).
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