Stop agli impianti sciistici, così affonda l’economia della montagna


È scontro tra Stato e Regioni sulla riapertura degli impianti sciistici. L’allarme di Anef e Federturismo: un Natale con le piste chiuse darà il colpo di grazia all’intera economia della montagna.


Mentre le temperature scendono, il dibattito tra Stato e Regioni sulle riaperture degli impianti sciistici si arroventa.

Da una parte ci sono le ragioni della pubblica sicurezza, dall’altra quelle di un settore che genera un fatturato annuo di circa dieci miliardi di euro dando lavoro a più o meno 120.000 persone. Un settore che, con i nuovi divieti all’orizzonte, rischia il tracollo.

Per dimostrare che un punto di incontro è possibile, nella giornata di ieri le Regioni si sono riunite per stilare un protocollo contenente le misure di sicurezza da predisporre nei comprensori sciistici. Regole di buonsenso che si possono riassumere con due espressioni a cui ormai siamo abituati: protezione individuale e contingentamento. Diversa la situazione per le zone rosse, dove gli impianti dovranno rimanere chiusi.

Per entrare in vigore, il protocollo dovrà essere approvato dal CTS (comitato tecnico-scientifico) e adottato attraverso un DPCM. Ma dovrà fare i conti con le resistenze del governo, intenzionato a fermare il turismo della neve durante le vacanze di Natale.

La protesta delle categorie

La prudenza del governo è contestata da tutta la filiera del turismo invernale, a partire dalle associazioni di categoria. Marina Lalli, Presidente di Federturismo Confindustria, fornisce un po’ di numeri che ricordano l’importanza dell’industria degli impianti a fune per l’economia italiana: “Il fatturato del turismo invernale sfiora i dieci miliardi di euro, di cui un terzo delle entrate si realizza proprio nel periodo compreso tra l’Immacolata e l’Epifania” ha dichiarato Lalli. “La filiera che vive dell’industria della neve è lunghissima e comprende hotel, ristoranti, trasporti, scuole di sci che con la chiusura delle piste proprio nel momento di loro massima attività rischiano di vedere bruciati fino a tre miliardi di euro.” Si alzano anche le proteste di Confindustria Alberghi, che parla della previsione di chiudere gli impianti sciistici come di “un colpo di grazia all’economia della montagna che rischia di travolgere anche il settore alberghiero”.

In Italia sono oltre 400 le aziende funiviarie, con 1500 impianti di risalita. Il 72% delle piste è dotato di innevamento artificiale, che richiede oltre 100 milioni di euro: all’inizio della stagione invernale le società impianti hanno sostenuto già il 70% dei propri costi per aprire in sicurezza. Nel solo arco alpino, il comparto montagna offre lavoro a oltre 120mila persone, la maggior parte delle quali con contratti stagionali. Questi i motivi per cui la chiusura sarebbe drammatica non solo per gli impianti ma anche per tutte le attività direttamente collegate: hotel, rifugi, ristoranti, negozi, maestri di sci, noleggi.

Che fare quindi? Sacrificare la salute pubblica per il portafoglio? Secondo Valeria Ghezzi, Presidente di Anef (Associazione Nazionale Esercenti Impianti a Fune), una terza via è possibile: “Gli operatori del settore riconoscono la gravità dell’emergenza in atto e l’attenzione primaria che deve essere rivolta alla salute degli italiani” ha chiarito “ma quello che chiediamo è di essere ascoltati come categoria e di essere trattati come gli altri settori e cioè in base all’andamento del contagio. Non chiusi a priori. Un operaio degli impianti ha come obiettivo primario la sicurezza del trasporto, non il divertimento. Non identifichiamo lo sci quale attività sportiva con la movida perché è un gravissimo errore. Lo sci, come ogni altra attività che il governo intende riaprire si atterrà con scrupolo ai protocolli e alle regole di sicurezza.”

La linea rigorista

Nonostante i numerosi appelli, il governo continua a fare muro. Si cerca di evitare scene già viste all’inizio della prima ondata, quando gli impianti sciistici furono presi d’assalto dagli habitués della settimana bianca. Per il governo la scelta di riaprire le piste da sci, con gli assembramenti che ne conseguirebbero, potrebbe essere la miccia in grado di far esplodere la terza ondata di contagi. Una decisione da irresponsabili.

Per questo al momento la linea rigorista prevale. Lo scenario più probabile prevede una riapertura dei collegamenti tra le regioni mirati soltanto a riunire le famiglie e a tornare ai luoghi di residenza, mentre il turismo non è contemplato.

Occorrerà attendere il DPCM del 3 dicembre per avere risposte certe, ma la direzione sembra già tracciata. Giuseppe Conte si è pronunciato ieri sull’argomento durante la trasmissione televisiva Otto e mezzo, al termine di una giornata segnata dalle polemiche: “Non possiamo concederci vacanze indiscriminate sulla neve” ha dichiarato il premier. “Anche per gli impianti da sci, il problema del protocollo è un conto ma tutto ciò che ruota attorno alle vacanze sulla neve è incontrollabile. Non è possibile consentire vacanze sulla neve, non possiamo permettercelo. Parole definitive, che spengono le proteste sul tema e ogni speranza di ripresa per l’economia della montagna.

 

 

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