È Jan Fabre il quinto artista protagonista del progetto espositivo La forma dell’oro, fino al 4 giugno.
Sarà ospitata da Buildingbox, a Milano, un’opera dell’artista Jan Fabre, quinto protagonista de La forma dell’oro, un progetto espositivo a cura di Melania Rossi. L’obiettivo è quello di indagare l’utilizzo dell’oro nella ricerca artistica contemporanea attraverso le opere di dodici artisti invitati a misurarsi con il tema prescelto. Fino al 4 giugno sarà la volta di Jan Fabre, che ha realizzato innumerevoli autoritratti nel corso della sua carriera, in forma di sculture, disegni, film-performance. Seguendo le orme dei maestri di epoca medioevale, rinascimentale e barocca, l’artista usa infatti sé stesso come prima fonte di studio anatomico e psicologico.
La rappresentazione dell’uomo, nell’opera di Fabre, aderisce al racconto della condizione dell’artista come metafora della condizione umana, tesa tra finitezza ed eternità. Il suo autoritratto a grandezza naturale dal titolo Je suis une erreur, è una scultura in bronzo che piange e ride al contempo, esprimendo così il paradosso della vita umana lontano da qualsiasi forma di cinismo esistenziale. L’artista si espone e fa da specchio all’osservatore. Devilish Ashtray è la sua opera scelta per il progetto. Si tratta di un autoritratto con corna da diavolo e la bocca spalancata in una linguaccia beffarda. Fabre dichiara uno spirito metamorfico e ribelle. In altre parole, l’artista cede la sua anima all’arte e accetta di pagarne il prezzo.
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La forma dell’oro
Definito “carne degli dei” dagli antichi egizi, oggetto simbolo della discordia nel mito greco, l’oro diviene nell’interpretazione cristiana sia emblema della manifestazione divina, sia incarnazione della vanità terrena e dei vizi umani. Un fatto è certo: nel corso dei secoli, questo elemento naturale ha conservato un alto valore espressivo tanto nella sfera del sacro, quanto in quella del profano. Nella tradizione rappresentativa, l’oro è definito da una polifonia di metafore che vanno dal divino al demoniaco, dallo spirituale al materiale, dalla perfezione alla corruzione. Lo spettro della sua potenza simbolica è tale da arrivare persino ad alludere all’assenza, alla negazione dello spazio-tempo e della gravità.
I pittori d’epoca medievale e del primo Rinascimento se ne servivano per rappresentare ciò che eccede la realtà materiale e supera l’uomo. L’aura mistica propria di tecniche antiche quali il fondo oro, il lustro e la doratura rappresentano l’imprescindibile punto di partenza per tutti gli artisti che ancora oggi scelgono di inserire quest’elemento nella loro prassi artistica. Che tipo di fascino esercita l’oro nel mondo odierno? A quali scopi se ne serve l’arte contemporanea? Sono le domande alla base del progetto espositivo, che ospiterà un’istallazione al mese per dodici mesi, visibile 7 giorni su 7, 24 ore su 24, nella vetrina BuildingBox della Building Gallery di Milano.
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La forma dell’oro
a cura di Melania Rossi
da gennaio 2021
Jan Fabre, A Devilish Ashtray (2020). 7 maggio – 4 giugno
BUILDING, via Monte di Pietà 23, Milano
Fonte: Building Gallery
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