Campania: 5 beni immateriali dell’Unesco


Cinque Beni per vivere il Patrimonio Immateriale Unesco della Campania, tra arti e tradizioni e antichissime.


La Dieta Mediterranea: uno stile alimentare ricco di gusto e salute. L’Arte del pizzaiuolo napoletano: una sapienza che ha creato un piatto-simbolo. La Transumanza: un cammino che unisce da secoli uomo e natura. I Gigli di Nola: macchine da festa che celebrano la devozione popolare. L’Arte dei muretti a secco: la perizia dell’uomo per coltivare la terra. Sono questi i cinque beni della Campania iscritti nel Patrimonio Immateriale Unesco. Andiamo a conoscerli uno a uno.

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La Dieta Mediterranea

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Uno stile alimentare nato in luoghi baciati dall’aria di mare, dalla dolcezza del clima di collina, dalla fertilità di terre coltivate da contadini che si sono tramandati colture e biodiversità di padre in figlio. Un paniere di ingredienti semplici e genuini che sono da secoli alla base di una alimentazione codificata e definita, negli anni Sessanta, Dieta Mediterranea dal medico statunitense, Ancel Keys

Una tavola imbandita con pasta, verdure e legumi, poca carne e molto pesce azzurro. Conditi con olio extravergine di oliva, uova, cereali e frutta fresca e secca. Tutto autoprodotto e consumato nella stagione giusta, fu alla base degli studi in cui fu analizzata la correlazione tra malattie cardiovascolari e alimentazione. I risultati furono “sorprendenti”: chi mangiava mediterraneo viveva meglio e più a lungo.

Lo scienziato americano pubblicò i risultati delle sue ricerche nel libro “Eat well and stay well” guadagnandosi, nel gennaio del 1961, la copertina della prestigiosa rivista Time. Questo modello alimentare è stato dichiarato nel 2010 dall’Unesco Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità. Un riconoscimento che premia uno stile di vita ecosostenibile, che ha un basso impatto ambientale, un modo di vivere fatto di relazioni, culture, senso di appartenenza e condivisione tra comunità che vivono sul Mare Mediterraneo.

L’arte del pizzaiuolo napoletano

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Sapienza dei gesti, conoscenza degli ingredienti e dell’impasto, valore della tradizione che, dal banco al forno, portano a tavola uno dei piatti più famosi e più amati al mondo: la pizza napoletana. Una manualità che spesso si tramanda di padre in figlio e diventa arte e che l’Unesco ha inserito, nel 2017, nell’elenco dei beni Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità della Campania.

Tonda, disco sottile, bordo appena pronunciato, condita tradizionalmente in due versioni classiche: marinara con pomodoro, olio, origano e aglio; o margherita con pomodoro, fiordilatte, olio extravergine e basilico. È un piatto unico, nato fra i vicoli della città per soddisfare l’appetito di un popolo abituato a vivere e a lavorare per strada.

Nel mondo l’arte della pizza si identifica con il Centro Storico, cuore antico e pulsante di Napoli dove la pizza è gestualità e canzoni. Manualità e capacità di selezionare gli ingredienti freschi ai mercatini rionali. E ancora condivisione fra amici, innamorati o anche colleghi di lavoro. Nello scorrere della quotidianità una pizza napoletana ci sta sempre bene, da sempre.

La transumanza

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Pastori che si trasferiscono con greggi e mandrie da un pascolo ormai brullo ad una zona più ricca di foraggio. Si tratta di una pratica pastorizia radicata in tutta l’Italia rurale che l’Unesco, nel 2019, ha iscritto nella lista dei Beni Immateriali. Il riconoscimento comprende anche la Campania nell’area dell’Alta Irpinia, terra attraversata dagli antichi tratturi, i sentieri storicamente battuti dai pastori che collegano e passano per Lacedonia e Zungoli.

Un movimento antico e lento, immerso nella natura di uomini e animali in cerca di cibo più abbondante e clima mite, circondati dai colori che cambiano con le stagioni. Un mondo tante volte raccontato nelle pagine di scrittori, poeti, menestrelli e cantautori che può diventare meta di viaggiatori e camminanti.

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I gigli di Nola

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I Gigli di Nola sono le macchine della festa di San Paolino, patrono della città, che si celebra, nella cittadina vesuviana, ogni anno la domenica successiva al 22 giugno. Sono riconosciuti come patrimonio immateriale dall’Unesco nell’ambito delle Feste della Rete delle grandi macchine a spalla italiane. Assieme ad altre celebrazioni che prevedono processioni con strutture da portare a spalla, quali la Varia di Palmi, la Faradda dei Candelieri di legno di Sassari e la Macchina di Santa Rosa a Viterbo.

Cuore della festa una sontuosa processione in cui sfilano otto gigli che scortano la Barca. Un carro devozionale che ricorda, secondo la tradizione religiosa, il ritorno via mare, nel 431, del vescovo Paolino dopo la prigionia in terre lontane. Il Santo al suo arrivo fu acclamato con mazzi di gigli e accompagnato nel palazzo vescovile scortato dai confaloni delle corporazioni dei mestieri. La cerimonia si è ripetuta nel tempo con ceri trasportati su strutture rudimentali diventate man mano sempre più imponenti.

È dal 1800 che i Gigli sono torri piramidali in legno alte 25 metri, pesano tra i 20 e i 30 quintali, sono decorati con dipinti, intarsi, fiori e ceri, rappresentano, come da tradizione i mestieri di salumieri, ortolani, bettolieri, panettieri, barca, calzolai, fabbri e sarti. Vengono portati in corteo dai cullatori che le spostano a spalla muovendosi in sincrono a ritmo di musica. Non c’è nolano che non senta l’appartenenza a queste macchine della festa che l’Unesco ha dichiarato Patrimonio Immateriale della Campania nel 2013.

L’arte dei Muretti a Secco

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Terzo riconoscimento transnazionale per l’Italia (dopo la Dieta Mediterranea e la Falconeria), l’arte dei muretti a secco consiste nell’abilità di costruire sistemando le pietre una sopra l’altra, senza usare altri materiali se non, in alcuni casi, la terra asciutta, per realizzare strutture da utilizzare come rifugi, per l’agricoltura o l’allevamento di bestiame. Queste antichissime conoscenze pratiche vengono tramandate nelle comunità rurali fin dalla preistoria. Testimoniando l’armonia tra gli uomini e la natura e allo stesso contribuendo alla prevenzione di frane, inondazioni e valanghe, e al contrasto dell’erosione del suolo e della desertificazione. Si tratta di un patrimonio da preservare, una tradizione diffusa in tutta la penisola, da nord a sud. I suoi punti forti sono nella Costiera amalfitana, nell’isola di Pantelleria, nelle Cinque Terre, nel Salento e nella Valle d’Itria
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