Prodotti tipici delle Marche: assaggia le fave, l’anice e le amarene


Amarena, fave e anice: tre prodotti tipici delle Marche da provare nel tuo prossimo viaggio


Sono numerosi i prodotti DOP IGP a cui si aggiungono 11 Presìdi Slow Food  e diversi prodotti della tradizione contadina marchigiana fortemente legata alla Mezzadria.

Vieni ad assaggiarli!

  • Prodotti tipici delle Marche: Amarena di Cantiano

@Let’s Marche

A Cantiano, in terreni argillosi e calcarei, cresce un alberello i cui frutti sono particolarmente indicati per la preparazione di marmellate, vini, liquori, bevande o per il consumo immediato. Questi frutti sono le visciole o amarene, materia prima utilizzata per produrre l’Amarena di Cantiano. Per ottenere l’Amarena, le ciliegie, private dei gambi, vengono calibrate tramite un setaccio e denocciolate. Poi si fanno cuocere nel loro liquido di governo, aggiungendo dello zucchero; terminata la cottura, la frutta viene imbottigliata.

  • Prodotti tipici delle Marche: Fave di Fratte Rosa

@Let’s Marche

A Fratte Rosa, piccolo paese tra le colline pesaresi, gli abitanti sostengono che le fave migliori siano quelle coltivate sui “lubachi”, ovvero i terreni ricchi di argilla bianca che caratterizzano il territorio e che hanno dato origine a due produzioni tipiche: i “cocci” e le fave.
Il paese, infatti, è noto fin dall’epoca romana per la produzione di terrecotte e per la tradizionale coltivazione di fave. Nei secoli, i contadini del luogo hanno selezionato un ecotipo dal caratteristico baccello corto, che contiene in media 4 semi, grandi e rotondeggianti, dal gusto dolce e teneri anche a piena maturazione.

Semina delle fave

La fava di Fratte Rosa si semina a ottobre, la pianta raggiunge un’altezza di circa 80 centimetri e porta a maturazione il seme ceroso all’inizio di maggio, mentre per il seme secco si deve aspettare il mese di giugno. Si coltiva solitamente in rotazione con orticole e cereali, senza apporti di azoto e potassio e senza irrigazione se non in casi di estrema necessità. I produttori del presidio si sono impegnati a non effettuare diserbo chimico ma solo meccanico, per evitare l’avversità più comune ovvero l’orobanche, una pianta infestante.
Per decenni ha rappresentato un alimento base per la popolazione locale: fresca o secca era ingrediente di molte ricette casalinghe, trasformata in farina e miscelata con la farina di grano serviva per produrre pane e pasta, ed era anche usata per alimentare gli animali.

Piatti tipici delle Marche: la ricetta delle olive ascolane

Itacconi “, ancora oggi realizzati a Fratte Rosa, sono un formato di pasta realizzato con una percentuale di farina di fave che oscilla tra il 30 e il 50%. Il nome deriva probabilmente dalla somiglianza con le strisce di cuoio che avanzavano dalla rifilatura delle suole delle scarpe per i tacchi. L’impasto, quando raggiunge il giusto grado di elasticità, viene steso, arrotolato e tagliato a strisce sottili; il condimento classico è il sugo ai funghi. Le fave si consumano anche nella “baggiana“, una minestra di verdure (bietole, cicorie, barba di frate) a cui si uniscono in cottura le fave secche lessate e sbucciate. E sono l’ingrediente principale dell’antica ricetta marchigiana “fave in porchetta”, a base di fave fresche, finocchio selvatico, pancetta di maiale.

  • Prodotti tipici delle Marche: Anice verde di Castignano

@Let’s Marche

Pianta erbacea di origine orientale, l’anice verde deve il suo nome al termine greco anisos che significa “non uguale”, con riferimento alla temuta pianta di cicuta, simile ma differente per colore e dimensioni. La pianta dell’anice non supera i 50 centimetri di altezza e si caratterizza per i piccoli fiori bianchi riuniti in ombrelle che appaiono a fine giugno.
Oggi l’anice è coltivato in Europa, principalmente nel bacino del Mediterraneo. La sua tradizione è millenaria: citazioni e trattati sulle sue proprietà benefiche si ritrovano fin dall’antichità.
Grazie alle note proprietà terapeutiche (dolori intestinali, itterizia, affezioni delle vie respiratorie, cura del sonno, indigestioni etc.) e all’uso come aromatizzante di cibi, vini e bevande, l’anice ha avuto in passato un’importante valenza economica e un’ampia diffusione. Durante l’impero di Carlo Magno, il prodotto era talmente gradito che non solo era importato, ma anche seminato in grandi estensioni negli orti di Aquisgrana.

La storia dell’anice

Nel 1687 i Veneziani conquistano Mistrà (poco lontano dall’antica Sparta) e scoprono l’ouzo, il tradizionale liquore all’anice greco. Lo ribattezzano con il nome della città e lo importano in patria. Da prodotto tipico della Serenissima, il mistrà diventa successivamente il liquore simbolo delle Marche.

Nelle Marche l’anice è consumato e commercializzato già nel ‘700 e la sua coltivazione è molto diffusa in particolare nel Piceno. In questa zona, in particolare sui terreni argillosi e ben drenati dei calanchi di Castignano e Offida, l’esposizione soleggiata e le fresche correnti di aria che si creano permette nei decenni di selezionare un ecotipo di anice verde particolare, più ricco in profumo e in dolcezza, grazie alla straordinaria concentrazione di anetolo (il composto aromatico dell’anice e del finocchio) pari al 94%.
A Castignano, nel 1870 Silvio Meletti parte dalla tradizione locale della distillazione dell’anice (attività diffusa nelle famiglie locali) e la perfeziona, creando la ricetta dell’anisetta Meletti. Questa produzione rappresenta il principale sbocco commerciale dell’anice verde castignanese fino al 1948. In seguito, le alterne vicende aziendali e la sostituzione progressiva con un’altra varietà di anice hanno portato al declino della coltivazione a Castignano.
Oltre al liquore, l’anice è usato tradizionalmente per fare confetti e ciambelline dolci, per il cui impasto si utilizza farina, zucchero, olio e vino bianco. Classico l’utilizzo in tisana, come decotto e la trasformazione in latte di anice, che si ottiene pestando i semi e lasciandoli in infusione per 5 minuti nel latte bollente.

Fonte: Let’s Marche

copyright Riproduzione riservata.