Le alici di Cetara: dalla storia alla famosa colatura


Le alici e la Colatura di Cetara Dop: dalla storia, fino alla salatura e alla preparazione della famosa Colatura di Cetara Dop.


La pesca delle alici di Cetara

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A Cetara fin dai tempi antichi si è praticata la pesca delle alici che rappresentavano un alimento di largo consumo e il nutrimento principale delle popolazioni costiere. Questa pesca la praticavano con un tipo di rete chiamata “menaide”. La menaide era una rete disposta a corrente, lunga da trecento a quattrocento metri, alta dodici o quindici metri, formata da un solo telo a maglie tutte uguali (in media 12 mm.). Questa maglia consentiva alle alici piccole di passare mentre quelle più grosse rimanevano impigliate. Passavano i due estremi di questo attrezzo  mediante dei cavi a due barili vuoti che funzionavano da galleggianti. Con queste reti si poteva pescare sia di giorno che di notte. Recuperavano le alici rimaste impigliate a mano una per una. La acciughe di menaide erano di buona appezzatura e ottime per la salagione. Infatti quando venivano tolte dalle maglie si dissanguavano assumendo, durante la loro maturazione sotto sale, un color rosa salmone. 

La pesca delle alici di Cetara: a partire dagli anni venti sostituiscono la menaide con la lampara.

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Essa è una rete ad imbuto del tipo delle reti a circuizione con due ali o bande, assicurata a due stazze di legno e formata da diverse parti che verso il sacco continuano nella fonda a maglie sempre più strette. Ê distesa verticalmente e dei sugheri la tengono in superficie, raggiunge in basso quasi il fondo ad una trentina di metri. Calano la rete mentre un altro battello con una sorgente luminosa attira il branco di pesci che viene circuito dall’attrezzo. Al momento opportuno spengono la sorgente luminosa e salpano la rete. Questo attrezzo impegnativo e complesso nell’allestimento. Inoltre richiedeva cospicui impieghi finanziari e disponibilità di personale più numeroso e particolarmente esperto. Rappresentò un notevole progresso tecnologico per la pesca dell’acciuga e della sardina. All’inizio alimentavano la fonte luminosa della lampara con il carburo, successivamente col petrolio, poi con accumulatori elettrici ed infine con gruppi elettrogeni.

Una pesca, anche se con risultati quasi sempre scarsi, ma che richiedeva pochi soldi per praticarla era quella detta a “Sciabica” o “Sciabichiello”.

Parola, questa, di derivazione spagnola: jabeca, corrisponde all’arabo shabaka, che vale lo stesso, sorta di rete. Queste reti hanno lo stesso uso che si effettuava con le paranze ma la differenza consisteva nel fatto che da 6 a 12 pescatori la praticavano. La metà dei marinai impegnati nella operazione tenevano la rete per un capo mentre con un barchino distendevano la restante parte della rete partendo dalla spiaggia sempre a circuizione per un certo tratto di mare. Fino a ritornare a riva dove l’altra metà dei pescatori raccoglieva l’altro capo. Con la sola forza dei muscoli con ritmo costante salpavano a riva la rete. Terminava in un coppo finale dove rimaneva impigliato il pesce presente in quel tratto di mare coperto della rete. La stessa operazione ma con maglie più strette serviva a pescare il novellame di acciughe e sardine, i classici “cecenielli”.

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Nel 1946 introducono un nuovo sistema di pesca con reti dette a cianciolo. Si tratta di una rete a circuizione che racchiude il branco di pesci raccolto sotto la fonte luminosa.

È dotato sulla parte superiore di galleggianti e su quella inferiore di pesi. Compiuto il giro il branco è racchiuso in una trappola da cui non si può più uscire. A questo punto chiudono la rete come un sacco agendo su un cavo d’acciaio che scorre attraverso grossi anelli che sono attaccati sul fondo. Quindi la tirano a mano fino ad accostare la fonda al peschereccio; infine con grossi coppi di rete issano a bordo il pescato. La pesca con questo sistema ebbe un rapido sviluppo. Le tradizionali barche delle lampare, divenute obsolete e insufficienti per dimensioni ad alloggiare questo nuovo attrezzo da pesca, furono sostituite da motopescherecci da 20 a 40 tonnellate di stazza lorda. Il ragguardevole tonnellaggio di questi natanti rispetto alle lampare rispondeva ad esigenze tecnico-pratiche dovute alla complessità del sistema armatoriale del cianciolo. Inoltre migliorava e rendeva più confortevole e sicura a bordo la vita dell’equipaggio che era di 15-16 persone.

Vari fenomeni meteo-marini come le perturbazioni atmosferiche, le fasi della luna, le correnti marine, i venti e quant’altro poteva incidere negativamente, limitavano l’esercizio dell’attività in media a 180 giorni di pesca all’anno.

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La salatura delle alici

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Consiste nel tenere le alici, una volta scapezzate (decapitate), in salamoia per il tempo necessario alla prima fase di disidratazione detta incruscatura. In una seconda fase le alici si costipano a strati nei barili con un giusto dosaggio di sale e le sottopongono ad una graduale ed adeguata pressione. Si tratta di una tecnica perfezionata nel tempo che ha reso ovunque famose e appetitose le alici salate di Cetara.
Questa tecnica la praticano a Cetara dall’antichità, da quando cioè i pescatori di Cetara iniziarono la pesca delle alici. Naturalmente per ovvi motivi questo pesce azzurro non può essere che consumato in tempi brevissimi dalla cattura. Per cui si verificava che quando la pesca era abbondante o il mercato non richiedeva grossi quantitativi di pesce, questo era destinato ad essere ributtato in mare. L’arguzia dei pescatori ideò un metodo, quello della salagione del pesce, che consentiva loro di non vanificare gli sforzi della pesca. Spesso erano le donne del paese ad industriarsi in questa preparazione. Il rituale consisteva nel preparare le alici in grossi contenitori e successivamente decapitarle per poi inserirle a strati in “vasetti” di creta appositamente predisposti. Ogni strato di alici veniva ricoperto con sale grosso e quindi si ripeteva l’operazione fino a colmare il “vasetto”. Terminata questa operazione si provvedeva a sovrapporre un “tumpagno” cioè un pezzo di legno circolare che chiudeva l’imboccatura. Sullo stesso appoggiavano della pietre, raccolte sulle spiagge del paese, che servivano a pressare il tutto. Col passare del tempo questo antico rituale è stato perpetuato dalle salagioni che erano delle fabbriche appositamente create per rendere il processo manuale industrializzato. 

Il legame delle alici con il territorio è così forte da far parlare spesso di alici di Cetara. Qui le alici e il pesce azzurro in generale entrano tutti i giorni nelle ricette in modo naturale. Per molti decenni hanno costituito l’elemento base della nutrizione per i cetaresi e, ancora oggi, sono valorizzati dalla ristorazione locale.

La Colatura tradizionale di alici di Cetara

È noto al grande pubblico che Cetara è il paese della Colatura di alici, il nobile discendente del Garum romano, menzionato da Plinio, usato dal grande cuoco imperiale Apicio che ne faceva un largo uso.

Nella sua versione attuale la Colatura di alici differisce dal famoso antenato. Il Garum era una salsa di pesce cremosa ottenuta dalla macerazione di strati alternati di pesci piccoli e interi (probabilmente alici) e grandi pesci tagliati a pezzetti (forse sgombri o tonni), con strati di erbe aromatiche tritate, il tutto ricoperto da sale grosso. La Colatura di alici di Cetara è invece un liquido ambrato, con una grande sapidità, dal sapore deciso e corposo. La ottengono con un processo di maturazione delle alici sotto sale, seguendo un antico procedimento tramandato di padre in figlio dai pescatori di Cetara. Si tratta di regole semplici e tempi precisi che ne fanno oggi un prodotto sotto la tutela del Presidio Slow Food, candidato al riconoscimento della Dop.

La materia prima della Colatura è costituita dalle alici pescate con la tecnica del “cianciolo” nel mare della provincia di Salerno. Avviano le alici al processo di salagione a poche ore dalla cattura. Recuperano la Colatura di alici al termine del processo di salagione, dopo alcuni mesi, mediante un foro praticato sotto il contenitore di legno (terzigno). Maturando lentamente fra i vari strati di alici, il liquido ne raccoglie il meglio delle caratteristiche organolettiche, fino ad essere recuperato, secondo tradizione, agli inizi di dicembre per condire il piatto forte delle feste natalizie.

È quasi un rituale antico. Ogni famiglia se la procura per condire gli spaghetti o le linguine, immancabili nelle cene vigiliari, o per insaporire patate lesse, verdure. Molti chef stellati la usano per preparare piatti che raccolgono unanimi consensi fra gli appassionati gourmet.

Nel 2015 ha avuto inizio l’importante percorso per la colatura di alici di Cetara, proiettata verso il riconoscimento della Denominazione di Origine Protetta.

Nel rispetto delle indicazioni previste dal Regolamento dell’Unione Europea n. 1151/2012 (sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari) hanno costituito la specifica Associazione per la Valorizzazione della colatura di alici di Cetara. Si tratta di un organismo promotore che vede riuniti tre produttori di colatura di alici, tre ristoratori e due armatori. Questi esercitano, tra l’altro, la pesca a circuizione delle alici, la materia prima di partenza per la produzione del prezioso condimento ormai noto in tutto il mondo. 

Il 21 ottobre 2020, con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale Europea, si è concluso l’iter per il riconoscimento della DOP alla Colatura tradizionale di alici di Cetara.

Ecco alcuni ristoranti dove mangiare la colatura di alici di Cetara: Acqua PazzaLa CianciolaSan Pietro

Fonte: Cetara turistica

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