Con la cultura non si mangia, taluni dicono. Ma si può fare cultura col cibo?
La selezione di opere di Giuseppe Gioachino Belli, Fame vecchia e fame nova. Sonetti da mangiare e da bere, sembra dire di sì! Il libro è pubblicato da Robin Edizioni, casa editrice romana, nella collana “Libri per tutte le tasche”; infatti ha un formato piccolo e un costo contenuto, 5 euro.
Il poeta romano Giuseppe Gioachino Belli (1791-1863) è noto per i suoi 2279 Sonetti romaneschi, dove descrive la società della sua epoca, l’Ottocento. In questo libro si trovano i componimenti dedicati al tema del cibo, selezionati da Marcello Teodonio, studioso del Belli e della letteratura in romanesco.
L’indice della raccolta comprende tutti gli aspetti del mangiare e del vivere, nella quotidianità e nelle occasioni di festa: Chi mangia e chi no; Pranzi quotidiani (colazione, pranzo e cena) e pranzi eccezionali; Cibi e feste; Cibo e religione; Cibo e salute (bulimia); Il vino; Le buone maniere.
«Pe nnoantri la grascia nun ze trova./ Le nostre nun zò bocche da guazzetti./Noi un tozzo de pane, quattr’ajjetti,/e ssempre fame vecchia e ffame nova.»
Nei versi del Belli trova voce il popolo, a cui mancano “la grascia”, cioè i viveri, e pietanze succulente in guazzetto: alla povera gente resta solo un pezzo di pane, un po’ d’aglio e fame. Il cibo è la metafora dell’ingiustizia sociale nella Roma papalina e delle differenze tra le classi, tra “noantri” e quelle “sorte d’assassini” che hanno il potere.
Non possono mancare i sonetti dedicati al vino:
«È bbono asciutto, dorce, tonnarello,/ solo e ccor pane in zuppa, e, ssi è ssincero,/ te se confà a lo stommico e ar ciarvello.»
Ma con moderazione:
«L’imbriacasse è peggio assai, fratello,/ che avé addosso er peccato originale./ Co li fumi der vino p’er cervello/l’omo nun è ppiù omo, è un animale.»
Allora ubriachiamoci dello spirito di questi sonetti e della romanità che svelano, tra tavole apparecchiate, miserie e antiche verità popolari.
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