Fabio Ciervo dall’Hotel Eden al Taste of Roma 2019, quando l’arte culinaria incontra la conoscenza


Intervista a Fabio Ciervo, chef stellato de La terrazza dell’hotel Eden, in occasione del Taste of Roma all’Auditorium Parco della Musica.


Tra le stelle del Taste of Roma 2019 c’è Fabio Ciervo, chef de La terrazza dell’hotel Eden di Roma dal 2010. Al Taste of Roma Ciervo presenta alcuni pezzi forte del suo menù, come la calamarata cotta in acqua di pomodoro con acciughe marinate al Martini, e la triglia croccante con il suo brodo e tartare di alghe marine.
Oltre a piatti prelibati, Ciervo porta con sé la sapienza della sua arte culinaria, nella quale la creatività si mescola all’attenzione per la conoscenza scientifica legata all’alimentazione. Di questo ed altro lo chef ci ha parlato nell’intervista che segue.

Tra i pilastri alla base della sua cucina c’è quello dell’innovazione. Che cosa significa per lei innovare un piatto tradizionale?

L’innovazione per me vuol dire conoscenza, vuol dire sapere, vuol dire ricerca, capire che cos’è un ingrediente, perché fare dei passaggi, quindi fare una cottura piuttosto che un’altra. In realtà la mia cucina è basata su 5 punti fondamentali, che sono innovazione, benessere, ingredienti, gusto ed arte. L’innovazione è il primo pilastro. Ormai cucinare non vuol dire mischiare degli ingredienti, bisogna avere la conoscenza.

A proposito di ingredienti, qual è l’ingrediente che per lei significa innovazione? Quello che utilizza più spesso o che le ispira di più.

L’ingrediente che adoro è l’olio extra-vergine di oliva. Grazie all’Italia abbiamo tantissime varietà di olii. Per me l’olio extra-vergine di oliva è un grande ingrediente anche perché è ricco di vitamine E, quindi è un grandissimo anti-ossidante.

Ci sono dei piatti della tradizione che per lei sono intoccabili? Che sono perfetti così come sono e non devono essere modificati?

Credo che un piatto perfetto non esista. C’è sempre un qualcosa che possiamo fare in più, c’è sempre un qualcosa che si può migliorare. La bellezza del nostro lavoro è qui. La ricerca continua. Io ci ho messo ventiquattro anni a capire chi sono, a chiudere il cerchio, e poi si è riaperto. Quindi chissà quanto ci impiegherò a richiuderlo e poi a riaprirlo. L’infinità della creazione, dello studio, a rispetto a quello che succede nella scienza, grazie quindi anche alle università che fanno ricerca. “Oggi fa bene questo, magari mangiate quest’altro che può far bene”. Facciamo l’esempio della curcuma. Oggi grazie alla scienza ci dicono che è un grandissimo anti-ossidante, però mangiata da sola ne prendiamo la biodisponibilità del 20%. Se la abbiniamo al pepe nero raggiunge il 2000%.

Parlando della sua esperienza professionale, lei è stato molti anni fuori dall’Italia. Crede che questa esperienza all’estero ha avuto un’influenza sul suo approccio al piatto?

Tutte le mie esperienze l’hanno avuta. La mia esperienza ha tante sfaccettature perché ognuno di noi è diverso e pensa in un modo. Io ho lavorato con Michel Roux, che è stata una delle mie prime grandi esperienze, in un tri-stellato. E lì ho imparato tanti meccanismi. Ho lavorato con Heston Blumenthal, e anche lui tre-stellato. Martin Berasategui . Quindi ho fatto Francia, Inghilterra, Spagna. Ho lavorato anche un po’ con Thomas Keller. L’esperienza aiuta a fare un percorso, poi dopo bisogna capire chi si è e darsi un’identità.

Era tra i suoi obiettivi quello di rientrare in Italia?

È stata un’opportunità. Ovviamente sono nato in Italia, c’è sempre quella voglia di ritornare nel proprio paese. Poi nel nostro lavoro comunque devi viaggiare, conoscere degli ingredienti diversi, conoscere delle culture diverse. È fondamentale per poi arricchire l’esperienza culinaria.

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