L’elefantino amato dai romani ritrova la sua zanna

La notizia del danneggiamento dell’elefantino di Piazza della Minerva è diventata virale in poche ore.

Lunedì 14 novembre, l’elefante di marmo a sostegno dell’obelisco che si trova al centro della piazza era stato trovato mutilato di una zanna di 12 cm.

Recuperato dalla Polizia Municipale  grazie alla segnalazione di due turiste, venerdi 18 novembre torna al suo posto. I restauratori della Sovrintendenza Capitolina e le istituzioni competenti hanno provveduto alla riadesione del pezzo.

Rimane ancora un mistero la dinamica dei fatti, sono al vaglio le immagine di una telecamera girevole posta sulla piazza.

L‘elefantino amato dai romani

La notizia aveva particolarmente colpito i romani, oltre che per lo sfregio subito da un’opera del Bernini, per la simpatia che da sempre suscita il “Pulcin della Minerva” – nel dialetto dell’epoca Pulcin stava per porcino – in riferimento all’aspetto tondeggiante del piccolo elefante, che, più che un pachiderma, ricorda un maialetto.

IL perchè di un elefante.

ANTEFATTO. Nel 1666 il pontefice Alessandro VII Chigi commissiona a Gianlorenzo Bernini una statua per omaggiare la “Divina Sapienza”. Tra i 10 progetti proposti dall’artista, il Papa sceglie quello dell’elefantino che tiene l’obelisco sul dorso.

La scelta fu curiosa. L’elefante non era tra i simboli usati generalmente nell’iconografia cristiana.

Alessandro VII rifiutò anche il progetto del frate domenicano Domenico Paglia, il quale aveva proposto come supporto marmoreo la rappresentazione dello stemma della famiglia Chigi.

Lipotesi. La risposta a questa ‘curiosa’ scelta sta in un romanzo allegorico caro alla tradizione umanista: Hypnerotomachia Poliphili”, ovvero L’amoroso combattimento onirico di Polifilo.

Ancora oggi l’attribuzione dell’opera pubblicata da Aldo Manuzio nel 1599 è un mistero: nonostante si pensi sia stata scritta da Francesco Colonna, si è ipotizzato che la penna appartenesse a personaggi del calibro di Pico della Mirandola, Leon Battista Alberti o addirittura Lorenzo Il Magnifico.

Il racconto parla di un viaggio iniziatico che ha per filo conduttore il tema della ricerca della donna amata.

Un esempio della tradizione dell’amor cortese dunque, con continui rimandi all’epoca romana e qualche palese richiamo alle Metamorfosi di Apuleio, il che fa dell’Hypnerotomachia Poliphili un’opera dichiaratamente pagana; un ulteriore elemento che potrebbe spiegare le ipotetiche attribuzioni ai sopracitati autori.

Ed eccola la scena ‘incriminata’:, il protagonista incontra – in una dimensione onirica – un cavallo in bilico su una sfera insieme a un elefante obeliscoforo posizionato sopra un cubo, metafore rispettivamente della Fortuna e della Sapienza.

Luso dell’elefante quale simbolo della Sapienza è intuitivo: si tratta di un animale particolarmente longevo e molto intelligente. Intuitiva anche la relazione simbolica tra l’instabile sfera alla base del Cavallo/Fortuna e il solido cubo alla base dell’Elefante/Sapienza. Inoltre, per il cristianesimo l’elefante è anche simbolo di castità e incarnazione della Legge di Dio.

Per non parlare poi del fatto che la piazza che lo ospita è intitolata a Minerva, dea della Sapienza, nata dalla testa di Giove.

Anche l’obelisco con i suoi geroglifici ha un portato simbolico:  la civiltà egizia era considerata esempio di cultura illuminata per il fatto che uno dei geroglifici aveva la forma di  Tau e sembrava prefigurare la Santa Croce. Secondo questa interpretazione gli egiziani avevano ricevuto preventivamente l’annuncio della venuta di Cristo e per questo erano considerati portatori di una sapienza divina.

Ecco dunque una motivazione attendibile della scelta del Papa – che possedeva una copia dell’Hypteronomachia – rispetto agli altri lavori presentati da Bernini.

Il progetto del Bernini fu realizzato dallo scultore Ettore Ferrata. Dopo un anno di lavoro, l’11 luglio del 1667 – a quaranta giorni dalla morte del suo committente, Papa Alessandro VII, l’elefantino fu caricato dell’obelisco e collocato al centro della Piazza.

Altra Ipotesi

Un’altra ipotesi rispetto alla scelta del basamento cubico, è che Bernini pensava di appoggiare l’elefante sul basamento marmoreo solo con le zampe. Ma i domenicani criticarono il progetto che non prevedeva una base quadrangolare sotto il ventre dell’elefante, perchè contravveniva i canoni classici.

Quando anche il papa appoggiò la tesi dei frati, l’artista si vide costretto a modificare il progetto, aggiungendo un cubo di pietra come supporto.
L‘elefantino ne uscì appesantito, per questo motivo i romani iniziarono a chiamare la scultura “Porcino della Minerva.”  Le sue dimensioni ridotte, ma allo stesso tempo tondeggianti ricordavano un maialino.

Bernini non accettò volentieri le imposizioni dei domenicani e per vendicarsi disegnò l’elefante con le terga volte al convento e la proboscide e la coda che ne accentuavano l’intenzione irriverente ed offensiva.

Fonti per l’atto vandalico: Sovrintendenza Capitolina ai Beni CUlturali, Comune di Roma

Potrebbe interessarti:

Ponte-Sant'Angelo

I 10 angeli di Ponte Sant’Angelo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Print Friendly, PDF & Email

copyright Riproduzione riservata.